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martedì 2 ottobre 2018

Lo Sapevate Che: Cercasi crackers per la fine del Mondo...


 Domando Scusa A Chi avesse l’incoscienza di continuare a leggere, perché questa storia è la solita che ripeto due volte all’anno da vent’anni, il racconto dell’Apocalisse, ma non posso farne a meno. Due volte all’anno, appunto, scatta sugli Stati Uniti d’America la psicosi detta “del cielo che cade”, manifestata dagli uragani di fine estate e dalle tempeste di neve del tardo inverno. Quando, come a metà settembre, l’Oceano Atlantico rovescia sulla costa orientale americana la furia di acque e venti partiti come innocenti nuvolette bianche dall’Africa, la psicosi della fine del mondo travolge non soltanto le città e le popolazioni direttamente sul cammino della tempesta, ma i milioni che vivono a centinaia di chilometri. Il grande nastro trasparente della psicosi di Apocalisse sono le reti televisive 24/7, quelle che devono riempire tutte le ore di tutti i giorni e si lanciano sulla meteorologia come scimmie affamate sulle banane. Niente fa più televisione di un ciclone che piomba su una città e gonfia i teleschermi annoiati con immagini di onde mostruose, alberi sradicati, pali divelti, tetti scoperchiati, case allagate, barchette improvvisate di famigliole alla deriva in Venezie improvvise. È spettacolo, show, nobilitato dalla pretesa di rendere un servizio al pubblico. Ma il servizio pubblico e l’ansia che produce per ottenere audience, si estendono anche a coloro che non saranno sfiorati dall’Apocalisse. I governanti, terrorizzati dall’essere sorpresi con le braghine calate come fu George W. Bush davanti al disastro dell’uragano Katrina a New Oreanz, o come Trump sprezzante verso la devastazione di Puerto Rico nel 2017, lanciano grida laceranti, per mettersi il sederino al coperto. I cittadini qualsiasi si recitano nei supermercati e negli empori di ferramenta per fare incetta di beni primari, di batterie, torce, tavole di compensato e trapani, per coprire le finestre, dalle quali rami e detriti possono entrare come proiettili. Non importa se vivono, come me, a Washington, a 550 chilometri dal “Ground Zero”, dalla località centrata dall’occhio del ciclone in Nord Carolina. Gli scaffali dei supermercati dove mia moglie e io facciamo spese sembrano, con l’avvicinarsi dell’ora x, quelli dei nudi Gastronom alimentari sovietici anni ’70. Spariscono il latte, lo scatolame, i crackers, le bottiglie d’acqua, tutti i generi a lunga conservazione, al diavolo colesterolo e dieta. Madri di famiglia spingono carrelli come i carri coperti dei pionieri, traboccanti di derrate. Vanno a ruba i beef jerky, le strisce di manzo affumicato che durano per sempre e che i pionieri impararono a conoscere dagli indiani nativi, che conservavano così la carne dei bisonti. I più accorti acquistano generatori, spesso senza capire come vadano adoperati. In ogni disastro naturale c’è qualche famiglia annientata dal premuroso papà che aveva usato il generatore dentro casa, asfissiando tutti gli abitanti. Il bisogno di sopravvivere risveglia, in ogni americano, quella nicchia di ricordi nel cervello che riporta tutti al proprio stato di migrante, essendo ogni americano, sotto la sfoglia delle generazioni, qualcuno venuto dal grande altrove. Tonnellate di cibi saranno gettate via o ignorate, ma per qualche giorno, con batterie a portata di mano come la bandoliera di un pistolero, con abbastanza latte per farci il bagno come Poppea, vivranno il brivido del pioniere nella Grande Prateria, fissando sul televisore l’occhio rosso e feroce dell’uragano che si avvicina. Poi tutti di nuovo a giocare con i tablet, a guardare le serie tv, a rimpiangere i soldi buttati al supermercato. Che nel frattempo si rifornisce, pronto a incassare gli utili della prossima Apocalisse di neve.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 29 settembre 2018 -

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