È celebre quel che
scrisse Bertolt
Brecht nel 1953, dopo lo sciopero operaio del 17 giugno nella Germania
comunista. Sciopero represso anche con l’intervento dei carri armati sovietici.
Brecht ha letto su manifesti e giornali che, secondo il governo di Berlino Est,
il popolo ha tradito la fiducia del regime, e che dovrebbe lavorare duro per
riguadagnarla. “In questo caso”, scrive, “non sarebbe più semplice per il
governo sciogliere il popolo ed eleggerne un altro?”. Con sarcasmo, il
drammaturgo e poeta si riferisce alla disinvoltura con il potere comunista
potrebbe pensare di trattare, di manipolare l’opinione pubblica. Questo accade
in situazioni diverse anche nella democrazia, vale a dire ben lontano dal
contesto in cui viveva Brecht. Il popolo della stagione politica alle nostre
spalle è stato “sciolto” con la morte o la decadenza delle ideologie che erano
i suoi punti di riferimento. Ed è appunto come se, nel vuoto creatosi, ne fosse
stato “eletto” un altro. Ha contato anche il rancore delle classi sociali,
vittime della crisi economica, che hanno ripudiato i partiti tradizionali
ritenuti responsabili allora al governo. Amos Oz, nelle sue riflessioni (“Cari
fanatici”, Feltrinelli) parla di una regressione infantile delle popolazioni,
descrive un mono trasformatosi in “un asilo planetario”. Spogliato delle
ideologie, gettate via come abiti troppo usati, quindi indifeso, nudo, ma fermo
nel rifiuto del potere che l’ha deluso, l’elettore è una facile preda di chi,
sfacciato debuttante sulla ribalta della politica, cerca di sedurlo. L’elettore
è sensibile alle provocazioni lanciate dal nuovo arrivato. Le interpreta come
un’autentica rottura col passato: l’annuncio di un cambiamento, imprecisato, ma
ricco di promesse. Il neo candidato leader sa galvanizzare le masse: le
stupisce non rispettando le regole, usando un linguaggio sfrontato, accusando
mercati finanziari, le istituzioni europee e chi le rappresenta. Così sfrutta
le collere dei vulnerabili orfani della vecchia politica. Il grande scrittore
descrive il fanatico che conquista l’ingenuo agitando i suoi fantasmi. Nella diciannovesima delle sue “21 lezioni per il XXI secolo” (Bompiani), quella dedicata all’educazione,
Yuval Noah Harari lancia un allarme. L’umanità è confrontata a rivoluzioni
senza precedenti. Tutte le nostre convinzioni ed esperienze si sgretolano e
nulla è finora apparso per sostituirle. Come affrontare e preparare le nuove
generazioni a un mondo di trasformazioni inedite e di incertezze radicali? Il
neonato d’oggi avrà poco più di trent’anni nel 2050, ed essendosi nel frattempo
allungata la speranza di vita, potrebbe essere ancora attivo alla fine del
secolo. Cosa dovremmo insegnargli? Di quali competenze avrà bisogno per
appassionarsi a un’attività? Per capire quel che accade e non smarrirsi nel
dedalo della vita? Harari, lo storico, prende come esempio la Cina del 1018,
quando i genitori poveri insegnavano ai figli come piantare il riso o tessere
la seta. I più ricchi facevano leggere ai maschi i testi confuciani e praticare
la calligrafia, li addestravano all’uso delle armi. <le femmine dovevano
essere spose sottomesse e pudiche. Nel 1050 le virtù richieste erano le stesse.
Oggi al contrario, in Cina e in generale nel mondo, nessuno sa con esattezza
come sarà il 2050. Non sappiamo come la gente si guadagnerà la vita; come gli
eserciti e le burocrazie funzioneranno, quali saranno i rapporti fra uomini e
donne. Lo stesso corpo umano potrebbe subire notevoli cambiamenti con il
progredire dell’informatica, e del ruolo del computer-cervello. Non sapendo come sarà tra poco più di trent’anni il mondo, e quindi il mercato del lavoro, non
sappiamo neppure di quali competenze gli uomini avranno bisogno. Le nuove generazioni
avranno una loro visione, che si formerà vivendo via via mutamenti in tutti i
campi: dalla scienza alla politica. Il ruolo dei padri, delle generazioni
precedenti, apparirà superato. Tante incognite sono in agguato nell’asilo
planetario”: un mondo che riparte su altre basi, in un futuro in cui la
regressione infantile di larghe masse umane conviverà con un grande progresso
in tutti i campi della scienza e della tecnologia. La politica sta già
cambiando volto.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 28 ottobre
2018 –
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