Sono un lettore dei numerosi libri di
Yuval Noah Harari. Capisco perché ne siano state vendute milioni di copie nel
mondo. L’autore si inoltra con lucidità e semplicità nel passato, nel presente,
nel futuro. Ti trascina in una storia universale, che va al di là del vissuto,
tenendoti per mano. Le “21 lezioni per il XXI secolo”, (Bompiani) sono la sua
ultima opera. Con Steven Pinker, 64 anni, scienziato cognitivo, professore di
psicologia a Harvard, Noah Harari, 42 anni, storico, professore all’Università
ebraica di Gerusalemme, è considerato oggi uno degli intellettuali più
influenti. È interessante metterli a confronto. Non sempre le loro idee
collimano. Pinker è Ottimista sull’illuminismo e il
liberalismo, mentre Harari è pessimista, perché – dice – ripercorrendo i fatti
commesso dagli uomini nella Storia si tende a diffidare. Basandosi sulle
statistiche, Harari e Pinker sono tuttavia d’accordo nel dire che stiamo
vivendo l’epoca migliore della Storia. C’è meno violenza, meno malattie, meno
carestie. Il terrorismo? Uccide tre milioni e mezzo di esseri umani all’ann.
L’inquinamento dell’aria all’incirca sette milioni. Dal settembre 2001 lee
vittime del terrorismo sono state venticinquemila, soprattutto in Iraq, in
Afghanistan, in Pakistan, in Nigeria e in Siria. Nonostante le disuguaglianze nelle nostre società, Pinker spiega che se la classe
media occidentale ha usufruito di una minor crescita del reddito rispetto alla
classe più abbiente, tutti possiedono più cose e godono di vantaggi un tempo
impensabili. La natura umana spinge tuttavia a non paragonare la propria
situazione a quella dei nonni o dei bisavoli, che nel secolo scorso hanno
vissuto guerre con milioni di morti, ma a quella dei vicini di casa rimprovera
a Pinker di sottovalutare a volte il prezzo pagato dall’umanità per l’immenso
progresso scientifico, di non riconoscere i crimini commessi nel nome della
scienza, del progresso e della democrazia. Nell’ultimo libro di Harari ci si imbatte in una nota di pessimismo:
il liberalismo è minacciato dai regimi autoritari sempre più numerosi, anche se
la crisi è ben lontana dell’avere le dimensioni del ‘900. La prima era della
mondializzazione è finita in un bagno di sangue con la Grande Guerra, Poi ci
sono stati il fascismo, il nazismo, il comunismo nati nella tregua prima del
Secondo conflitto mondiale. La fenice liberale ha finito col trionfare
sull’imperialismo, sul nazifascismo, sul comunismo. Poiché questi regimi sono
stai sconfitti, la gente tende a pensare che non fossero pericoli poi tanto
gravi, mentre giudica il presente più importante e pericoloso. Se i padri, i
nonni, gli antenati ritornassero tra di noi troverebbero insensato quel che
molti nostri contemporanei pensano: scoprirebbero un mondo migliore di quello
che hanno lasciato. “Ciò non toglie”, dice Harari in un lungo dialogo con
Thomas Mahler, giornalista del parigino Le Point, “che il liberalismo conosca
una forte crisi. La novità è che il liberalismo non ha più di fronte un
avversario ideologico coerente. Quel che chiamo l “momento Trump” è molto più
nichilista”. Autentiche democrazie,
o che stavano per diventarlo, non lo sono più. La Turchia, l’Ungheria, la
Russa sono ormai democrazie illiberali. Le elezioni sono solo riti. Anche se
libere, possono sfociare in dittature della maggioranza, senza separazione dei
poteri, senza la protezione delle minoranze e degli individui. Il nazionalismo
è uno dei temi affrontati da Harari. E’ un progresso che le collettività
nazionali, sostituendosi a piccole comunità, si siano formale, sia pure nel
doore. Hanno risposto alle sfide cui nessuna tribù isolata poteva far fronte.
Ma le rivalità si sono accese e sono diventate guerre. Oggi il nazionalismo
(non il patriottismo che è un’altra cosa) è ancora più pericoloso: i problemi
sono di natura globale, da affrontare con una cooperazione interazionale. Il
nazionalismo non offre soluzioni a una guerra nucleare, né al riscaldamento del
clima o alla tecnologia distruttiva. La principale minaccia per l’umanità viene
probabilmente dall’intelligenza artificiale e dalla biotecnologia per motivi
etici, potrebbe resistere a lungo alla competizione internazionale nel caso gli
altri paesi si lanciassero nella creazione di una nuova casta biologica di
super umani. La scienza è globale, non esiste una scienza nazionale.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 14 ottobre 2018 –
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