Detenzione. Una parola che ci unisce tutti. Che
ci rende tutti partecipi di un destino comune. Detenzione come prima opzione e
non come ultima, estrema spiaggia. Detenzione in attesa di giudizio, detenzione
per impossibilità di accesso e pene alternative, detenzione per impedire a
uomini donne e bambini di raggiungere l’Europa, il nuovo Nuovo Mondo, la nuova
Terra Promessa. Un Europa in cui vincono i nuovi sovranisti perché gli
antisovranisti sono troppo vecchi e hanno storie che li rendono poco credibili.
Storie che bloccano ogni fiducia in un nuovo corso. E l’Italia come laboratorio dove sperimentare
la mancanza di reattività. L’Itala come laboratorio per una politica tutta
uguale e che sostanzialmente si differenzia solo nella comunicazione.
Comunicazione che, però, fa tutta la differenza del mondo. Detenzione in Grecia, dove i richiedenti asilo sono bloccati in migliaia nel centro di
identificazione di Mora, sull’isola di Lesbo, in attesa di essere censiti.
Afghani, iracheni, siriani che hanno perso tutto, finanche la voglia di vivere,
dato che i tentativi di suicido sono sempre pù frequenti. Detenzione in Libia,
dove la situazione, dove i tumulti delle ultime settimane, per i migranti è
diventata estremamente pericolosa. Vengono spostati, catturati, venduti oltre
che picchiati, vessati, spaventati, economicamente sfruttati. Ma di tutte
queste detenzioni, non ci interessa perché servono a sottrarre alla nostra
vista colore che massimamente temiamo, e non sono gli immigrati, non sono i
rom, non sono affatto gli stranieri, ma sono i poveri, i poveri che fanno paura
più che ribrezzo. E chi aiuta i poveri? hanno trovato epiteti squadristi per
chi si occupa esi preoccupa dei poveri, perché sbatte in faccia una verità
semplice: non esiste nulla di immutabile, ciascuno di noi può cambiare la
propria condizione, quindi tendere la mano significa aiutare se stessi. E, per
una strana forma di protezionismo, ci si convince che se un povero migliora la
sua condizione, saremo noi a dover necessariamente peggiorare la nostra. Come
se esistesse una proporzione che deve restare invariata tra poveri, ricchi e
benestanti. Tra chi vive nell’agio, chi vive bene, chi vivacchi, chi sopravvive
e chi è destinato a non farcela. Su questo assioma falso, ma! Esplicitamente
detto e che fa presa in un attimo, ci sono schiere di politici di destra e di
sinistra che hanno costruito o stanno costruendo le proprie fortune anche e
soprattutto economiche. Così, se dal nostro quotidiano, per ottenere tranquillità e
sicurezza, vanno eliminati gli indigenti, i mendicanti, i tossicodipendenti, i
rom, gli immigrati che non avendo accesso a documenti non hanno altra
opportunità che tendere il cappello a supermercati o pulire i vetri ai semafori
– chi sa perché si preferisce sempre citare la categoria di immigrati che viene
arruolata nelle fila delle organizzazioni criminali, anche se la maggior parte
trova più dignitoso chiedere l’elemosina – è bene trattare come paria anche quelle
persone che indigenti non sono ma che prestano aiuto perché, così facendo, si
oppongono al compimento di un disegno che è nella natura delle cose: homo homini lupus. “Ci sono tre tipi di persone a questo mondo”, dice Wayne Kyle in “American Sniper”,
“le pecore, i lupi e i cani da pastore. Ci sono persone che preferiscono credere
che nel mondo il male non esista. E se mai si affacciasse alla loro porta, non
saprebbero come proteggersi. Quelle sono le pecore. E poi ci sono i predatori,
che usano la violenza per sopraffare i deboli. Quelli sono i lupi. E poi ci
sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno
incontenibile di difendere il gregge. Questi individui sono una specie rara,
nata per affrontare i lupi. Sono i cani da pastore. In questa famiglia noi non
alleviamo pecore, e io vi ammazzo a cinghiate se diventate lupi”. Oggi si sceglie di essere lupi, perché i lupi sono paladini di quell’ordine che molti
credono immutabile e che ritengono essere l’unico in grado di tutelare la
propria personalissima tranquillità, non certo la pace sociale o la convivenza
civile. E le pecore sono pecore, è nei fatti che soccombano. Non resta che
sgombrare il campo dai cani da pastore. Accade quindi che Mimmo Lucano, sindaco
di Riace, nobile cane da pastore, venga arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina e capita che dei conigli travestiti da lupi esultino per questo
arreso, fingendo di non sapere che si tratta degli effetti nefasti della
Bossi-Fini, lascito del peggiore berlusconismo che nessun governo, compresi
quelli che sull’antiberlusconismo hanno costruito le proprie fortune, ha voluto
demolire.
Roberto
Saviano – L’Antitaliano – L’Espresso – 7 ottobre 2018 -
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