È Una Piccola storia ignobile, che si svolge nel
“paradiso” turistico delle Hawaii, e ha dato un po' di lavoro alle autorità
consolari italiane. È tutto documentato nei rapporti di polizia, poi trascritti
dai funzionari della Farnesina: niente è lasciato alla fantasia di chi scrive.
Una mamma italiana, avendo la possibilità di farlo, decide di trasferirsi per
un anno alle Hawaii e di iscrivere lì il figlio alle elementari. Così imparerà
l’inglese presto e bene. Il figlio ha imparato molto di più. In quella scuola
il bambino s’invaghisce di una compagna. A modo suo prova a corteggiarla anche
se lo ostacola un’inglese ancora molto rudimentale. Fa una cosa sbagliata,
perché tenta di baciarla. Lei non solo non ci sta ma chiama in soccorso il suo
vero fidanzatino, anche lui un bambino delle elementari. Il fidanzatino
interroga il piccolo italiano usando la parola “rape”, cioè stupro. In sostanza
gli chiede se ha tentato di stuprare la bimba. L’italiano, confuso e
soprattutto linguisticamente in difficoltà, farfuglia qualcosa che –
prontamente filmato con lo smartphone di chi lo interroga – diventa una
“confessione di stupro”. Il video viene esibito come una prova di colpevolezza
davanti alla maestra. E qui, quando entrano in gioco gli adulti, la faccenda si
fa più problematica. La maestra trasferisce la pratica dello scandalo alla
preside. E la preside non esita un attimo: compone il numero di telefono delle
emergenze 911, allerta la polizia. Che arriva a scuola e arresta il bambino
italiano, ammanettandolo davanti a tutti i suoi compagni. Mani e piedi
immobilizzati, come per un pericoloso criminale adulto che potrebbe aggredire
gli agenti: Nuovo dispiegamento di smartphone da parte dei compagnucci di classe,
per cui il video dell’arresto in pubblico fa il giro delle Hawaii e ben oltre.
Quando la mamma italiana riesce a farsi assistere, per rintracciare e poi
liberare il figlio dal commissariato dov’è detenuto, cominciano le proteste di
lei nonché delle autorità italiane che l’assistono. Alle quali seguono le
risposte, spiegazioni, giustificazioni. Praticamente tutte identiche. La
maestra ha seguito le procedure che sono molto severe quando c’è anche solo un
sospetto di molestie sessuali. La preside? Ha seguito le procedure, idem come
sopra. La polizia? Ha seguito le procedure. Perfino l’arresto in manette di un
bambino a scuola è previsto. Forse, velatamente, ammettono di avere qualcosa da
rimproverarsi, se c’è stato qualche ritardo nel fornire un interprete italiano
(ammanettare u bimbo delle elementari non fa una piega, ma non garantire il
rispetto delle minoranze linguistiche no, quello non è politically correct).
Tutti hanno la coscienza a posto, nessuno si è macchiato del crimine supremo
che sarebbe l’aver sottovalutato un sospetto caso di abusi sessuali. Cioè il
bacio rubato a una bambina, che è nella categoria dello “stupro”. Una costante
unisce questa vicenda ad altre, e non tutte necessariamente legate al
puritanesimo sessuale dell’America. Più in generale, i bambini crescono in un
mondo dove gli adulti hanno smesso di fare il loro mestiere. Cioè di fare gli
adulti. Quindi di indagare, capire, educare, spiegare, ammonire, castigare se
necessario. È tutto troppo faticoso, perfino rischioso. È molto più facile
ripararsi dietro i regolamenti, le leggi, le polizie e i tribunali. La maestra
e la preside si sono risparmiate fatica e possibili grane, non hanno cercato di
farsi raccontare esattamente cos’era successo, di ricostruire un “incidente”
dell’universo infantile, di dargli un senso e una logica. Non hanno usato il
loro buonsenso e la loro autorità per aprire gli occhi ai bambini. Un mondo
dove i grandi hanno paura di fare i grandi: come dev’essere pauroso, per i
piccoli.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 20
ottobre 2018 -
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