Sono d’accordo con il sig. Caserza (D,23 giugno) sul senso che lui attribuisce alla parola
sacro. Per me essa comprende la legge di Dio, il senso di giustizia che tutti
abbiamo, la fraternità, il precetto “fai agli altri quello che…”. Queste cose
non sono razionali. Già Pascal esigeva che gli atei dicessero cose
perfettamente razionali e queste non lo sono, La parola sacro in senso stretto
coinvolge Dio, ma in senso lato ne ha altri, che comprendono quelle cose. E non
è che l’”idea regolativa in senso Kantiano”, che Galimberti attribuisce a
fratellanza, sia perfettamente chiara (comunque non più sacro). Cristo usa la
parola amore, che ha diversi sensi pratici (Matteo 25), e anche misteriosi. E,
il mistero, tanto apprezzato da Einstein, è una cosa perfettamente razionale?
Francesco Framarin framarinf@alice.it
Gianni Caserza (gianni.caserza@gmail.com) nella sua bella lettera in cui discuteva di
democrazia, attribuiva la fratellanza all’area del sacro. E su questa
attribuzione conviene anche questa lettera di Framarin che nell’area del sacro
fa rientrare molte altre cose come la legge di Dio, il senso di giustizia, il
precetto dell’amore. Il sacro è quello sfondo indifferenziato dove tutte le
distinzioni sono ignorate e misconosciute. Da esso l’umanità si è emancipata
pima con i riti che hanno distinto i totem dai tabù, il puro dall’impuro, i
periodi sacri (le feste dove si sospendono tutte le regole) dai periodi profani
dove, fuori dal tempio (fanum), si svolge
la vita di ogni giorno scandita dal lavoro e dai divieti (i tabù). Al sacro
appartengono spazi separati dagli altri (sorgenti, alberi, monti e poi templi,
sinagoghe, moschee, chiese), a cui sono preposte persone consacrate, separate
dal resto della comunità: i sacerdoti, custodi della religione che, come vuole
la parola, recinge, tenendola in se raccolta (re-legere) l’area del sacro, per impedire che irrompa nella
comunità sconvolgendola. Nell’area del sacro, come ci informa Gerardus Van der
Leeurw grande storico delle religioni nel secolo scorso: “Dio è arrivato con
molto ritardo”, e da allora gli umani hanno preso a offrire agli dèi primizie e
sacrifici, non per ottenere le grazie, ma per tenerli lontani. Gli uomini
infatti sono fuoriusciti dall’area del sacro, prima con i riti, come abbiamo
ricordato, e poi con la ragione che istituisce le differenze, per cui, scrive
Eraclito: “L’uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l’altra”, mentre la
divinità, che abitava l’area indifferenziata del sacro, misconosce le
differenze perché: “il dio è giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace,
sazietà e fame, e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi odorosi,
prendendo di volta in volta l loro aroma”. Al di là, o se si preferisce, al di
qua del bene e del male, Dio, proprio perché abita l’area del sacro, per
mettere alla prova la fedeltà di Abramo lo invita a trasgredire non solo la sua
legge di natura che impedisce a un padre di ammazzare il figlio. E quando
Giobbe invita Javé a considerare la legge della giustizia, in base alla quale
non si commina il male a un uomo giusto, Dio risponde: “Dov’eri tu quando io
mettevo le basi sulla terra? Chi ne fissò le misure, se lo sai, e chi distese
il regolo su di esse? Dimmelo se hai tanta scienza”. Dio non sta alle regole
della ragione che prevedono il bene per i buoni e il castigo per i cattivi. Dio
è al di là del diritto e quindi della morale sul cui piano Giobbe,
ingenuamente, lo invita a rispondere. Anche quando consegna le Tavole della
Legge, Javé intima a Mosé di nascondersi nella cavità di una roccia: “perché tu
non potrai vedere la mia faccia, l’uomo infatti non può vedermi e sopravvivere”
(Esodo 33,20). E a commento, il poeta ebreo Edmond Jabès scrive: “Con Dio non
può esserci un faccia a faccia, perché tutti i volti sono il Suo, e questa è la
ragione per cui Egli non ha volto”. Se Dio abita la notte indifferenziata del
sacro, una notte inimmaginabile, che non è neppure il contrario del giorno, perché
è a un tempo notte e giorno, luce e tenebra, non si può attribuire al sacro il
senso di giustizia e tantomeno la fratellanza e il precetto dell’amore per il
prossimo. Questi scenari appartengono
all’ordine della ragione (non a caso la fraternità è stata proclamata anche
dall’Età dei Lumi) e al suo sforzo mai interrotto di creare le condizioni per
ridurre al massimo la conflittualità tra gli uomini, che le guerre di religione
non solo accendono, ma addirittura esasperano. Le guerre di religione infatti
appartengono al sacro che non conosce né giustizia, né fratellanza, né
disposizioni d’amore.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 21 luglio 2018 –
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