Presto o tardi, tutte le teorie
scientifiche vengono superate o smentite. Nell’Ottocento pensavamo che le
specie fossero immutabili e che la fisica newtoniana fosse insuperabile. Non
era così. Tutt’altro discorso vale per la matematica. I metodi studiati dai
Babilonesi per risolvere le equazioni di secondo grado restano validi dopo
quattromila anni; oggi li esprimiamo attraverso simboli, ma il ragionamento non
cambia. Un teorema, una volta che lo si sia dimostrato correttamente, diventa
un tassello del pensiero matematico per sempre. In questo senso, i matematici
sono creatori di opere destinate a durare in eterno. A loro è dedicato I numeri uno. La vita dei più grandi
matematici del mondo (Einaudi, pp. 304) di Ian Stewart, tra i più amati scrittori
di pop math, la matematica spiegata
al grande pubblico, con oltre ottanta libri all’attivo. Classe 1945, Stewart ha
cominciato collezionando gli indovinelli matematici di Scientific American, una
delle più antiche riviste di divulgazione scientifica; cinquant’anni dopo
sarebbe diventato un autore di punta di quella rubrica. Oggi è professore
emerito all’Università di Warwick, in Inghilterra, ed è considerato un pioniere
della divulgazione: “Trent’anni fa il mondo della matematica era monastico.
Oggi sta cambiando tutto” spiega. Nel suo ultimo libro Stewart affronta il “processo
quasi mistico” che porta alla luce nuova matematica, immergendosi nella vita
dei suoi protagonisti. Ne ha scelti 25, con un tratto comune: “la capacità di
entrare in regioni del pensiero precedentemente sconosciuto all’umanità”. Tali
sono per esempio, il concetto di infinito di Geor Cantor (che a fine Ottocento
smentì Aristotele: l’infinito non è solo un ente potenziale, ma una realtà
misurabile), il calcolo infinitesimale di Newton o, più indietro ancora, il p
greco di Archimede, il più grande scienziato dell’antichità. “Eppure di lui non
sappiamo quasi nulla spiega Stewart. “Si racconta che, quando Siracusa venne
assediata dai Romani, intorno al 212 a.C., un soldato venne mandato a chiamarlo
e lo trovò intento a osservare un diagramma tracciato nella sabbia. Non
riuscendo a ottenere la sua attenzione lo infilzò con la spada. Le ultime
parole del saggio furono: non mi rovinare i cerchi! Conoscendo i matematici,
trovo il racconto del tutto plausibile”. Ma chi sono, dunque, i matematici?
Anzitutto, individui capaci di astrarsi dalla materia e dal tempo. La loro
attività mentale è così estrema che si potrebbe dubitare della sua attinenza
con la realtà. Di qui l’assillo dei filosofi: siamo noi a inventare la
matematica o la deduciamo dalle leggi che regolano l’universo? “Il cervello
umano tende a cercare attorno a sé dei pattern,
cioè schemi e modelli ricorrenti, e a volte crede di trovarli anche dove non ci
sono” ammette Stewart. “Perciò qualcuno afferma che la realtà è un prodotto
della nostra immaginazione. Il biologo Jack Cohen ed io abbiamo scritto però Figments of Reality (prodotti di
realtà), che parte all’idea opposta: il nostro cervello produce secondo certi
schemi perché si è evoluto in un mondo effettivamente piano di pattern, e saperli cogliere aumenta le
nostre chance di sopravvivenza”. Anche se questa capacità portata all’estremo
non sempre si accompagna al senso pratico. L matematico Alan Turing, celebre
per aver contribuito alla decrittazione dei messaggi cifrati nazisti (secondo
gli storici accorciò la guerra di quattro anni). Aveva una bicicletta a cui spesso
si staccava la catena. Fece una serie di calcoli e ne dedusse che questo
succedeva ogni volta che la catena si trovava in una certa configurazione con
la ruota. Fu così in grado di prevedere l’evento e, quando stava per
verificarsi, eseguiva una manovra per evitarlo. Il pattern era giusto, ma, praticamente, per risolvere il problema
sarebbe bastato cambiare un raggio. “Quasi tutti i matematici hanno un intuito
visivo, nel senso che ragionano sui problemi usando immagini mentali” spiega
Stewart. A un certo punto “vedono” la soluzione, spesso nei momenti più
impensati: Henri Poincaré “scoprì” le cosiddette funzioni fuchsiane mentre
saliva su un omnibus. “È il matematico che mi impressiona. È arrivato vicino a
scoprire la relatività ristretta prima di Einstein, ha lavorato in molte aree
della matematica e a ciascuna ha fatto fare grandi progressi”. Secondo Stewart,
nel mondo dei numeri proprio la multidisciplinarietà potrebbe essere il segreto
di una carriera lunga e feconda. “È vero che spesso i lavori più rivoluzionari
sono prodotti dai giovani, forse perché i più anziani hanno assorbito tanta
matematica, che la loro mente tende a percorrere sempre le stesse vie. Però c’è
anche chi rimane creativo fino alla fine. Max Newman, uno dei maestri di Alan
Turing, risolse un problema fondamentale di topologia importante branca della
matematica moderna a settant’anni. E cambiare spesso campo di ricerca può
aiutare molto: ringiovanisce il pensiero”. Tra i matematici citati da Stewart
molti sono cresciuti in famiglie intellettuali. Augusta Ada King, considerata
il primo programmatore di computer (agli inizi dell’Ottocento capì che una
singola macchina avrebbe potuto svolgere qualsiasi compito, purché le si desse
la giusta sequenza di istruzioni, era figlia del poeta Lord Byron, Sofja
Kovalevskaja, “probabilmente la più grande scienziata del suo tempo”, crebbe
con Fédor Dostoevskij che le gironzolava per casa. Se ne infatuò ancora scolaretta,
ma lo scrittore chiese la mano di sua sorella (che rifiutò). Il talento per i
numeri, d’altra parte, non è affatto un’esclusiva di chi viene dalle classi
colte: Srinivasa Ramanujan, nato in India nel 1887, povero e in gran parte
autodidatta, “scoprì formule che nessun altro avrebbe mai neppure sognato” e
ancora oggi si studiano i suoi quaderni in cerca di nuovi modi di pensare”. Poi
ci sono stati gli animi turbolenti: il francese Evariste Galois morì in duello
per una giovane donna i 1° giugno 1832. Aveva vent’anni e passò la notte prima
della sfida fatale a scrivere una sintesi delle sue ricerche matematiche. Ma la
peggiore testa calda fu forse l’italiano Girolamo Cardano, “un duro se mai ce n’é
stato uno”, bullo e giocatore d’azzardo; nel 1570 calcolò l’oroscopo di Gesù,
poi pubblicò un libro in cui lodava Nerone per aver martirizzato i cristiani;
fu accusato di eresia e imprigionato. Scrisse però uno dei più importanti testi
di algebra. Dicono che si suicidò perché aveva predetto la data della sua morte
e l’orgoglio professionale gli impediva di sbagliare la previsione. Il libro di
Stewart tratta, infinite, un aspetto molto particolare della ricerca
matematica: il ruolo dell’emozione estetica. Sofja Kovalevskaja si innamorò
della materia, ben prima di sapere cosa fosse, quando tappezzarono parte della
sua cameretta con le pagine di un vecchio testo sul calcolo differenziale. D’altronde
è noto che per lodare un teorema lo si definisce elegante. “La matematica
elegante è un misto di sintesi, penetrazione e sorpresa” spiega Stewart. “Evita
calcoli lunghi e tediosi. E contiene sempre una nuova idea”.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 6 luglio
2018 -
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