Sono uno studente di filosofia di 23 anni e ho deciso
di combattere l’indifferenza. Negli ultimi sette giorni oltre 500 morti civili
in Siria, terra martoriata da un conflitto interminabile, dove uomini, donne,
bambini cadono come pedoni di una partita a scacchi, giocata da i potenti di un
mondo che moralmente è alla deriva. Eppure nell’aria sento un disinteresse
sempre più diffuso nei confronti di ciò che accade a più di un palmo di
distanza da casa nostra. Si continua a bombardare radendo al suolo intere città
e cancellando la storia di popoli millenari, ma sui social, nei gruppi di WhatsApp
e nelle birre tra amici si continua imperterriti a parlare di calcio. D’altronde
il mondo in cui viviamo ci mette a disposizione tutta una serie di mezzi per
scappare via e raccontarci un’altra verità. E allora perché pensare ai bambini
innocenti ammazzati dalle bombe ad Aleppo^ Perché pensare a quelli che invece,
scappati per miracolo, sono schiavizzati nelle fabbriche turche, con il beneplacito
di noi occidentali che paghiamo fior di quattrini al dittatore Erdogan per
tenere i profughi fuori da casa nostra? In una cena a casa di amici dove si
guardava Il Grande Fratello, chiesi
se qualcuno dei presenti sapesse dove si trovasse Aleppo e cosa stesse
accadendo. Gli insulti si triplicarono e venni annoverato come una persona
pesante, che non staccava mai. Staccare. Ma da cosa? Questa è la domanda che mi
tormenta. Qual è questo insormontabile macigno che ci grava sulle spalle e dal
quale a una certa ora del giorno dobbiamo necessariamente, pena la nostra salute
mentale e fisica, liberarci? La verità è che siamo talmente presi da noi stessi
che non ci accorgiamo neanche del benessere che ci permette di fare ciò che
vogliamo, e prima fra tutto di sbattercene degli altri e del mondo che ci
circonda. Tuttavia ho deciso di combattere, di portare avanti una battaglia,
quella dei libri, della cultura, della sensibilità, dell’arte, per far crescere
un mondo diverso, più umano, nel senso più bello del suo significato.
Lorenzo Cognetti lorenzocognetti@gmail.com
Quello che succede in Siria è terribile, ma ancora più
terribile è l’indifferenza che ci avvolge e ci rende insensibili quando si è
già paralizzata la nostra immaginazione, la nostra percezione e il nostro
sentimento. Conosciamo solo il numero dei morti e dei feriti che i telegiornali
ogni sera ci riferiscono, ma sono numeri e non, come scrive Wilfred Owen nelle
sue Poesie di guerra: “corpi a
penzoloni con gli occhi bianchi che si contorcono sul volto, col sangue che
fuoriesce ad ogni sobbalzo, gorgogliando dai polmoni guasti di bava e da
disgustose e incurabili piaghe. Queste cose non le vediamo, e per il disgusto
che producono ci impediamo di immaginarle. Questo meccanismo d’inibizione paralizza
anche la nostra percezione. Vediamo le macerie delle case distrutte, le vie
impraticabili ai mezzi di soccorso che non riescono ad arrivare, ma non
percepiamo la fame di chi non mangia e non beve da giorni e non ha alcuna
prospettiva di potersi alimentare. Non percepiamo il dolore di ossa rotte o di
ferite che non è possibile curare, perché nessuno dei contendenti concede una
tregua, e nel caso la conceda, subito la interrompe. A questo punto s’inceppa
anche il nostro sentimento, perché quel che accade i Siria e in ogni teatro di
guerra è fuori misura rispetto al nostro quieto modo di vivere, dove non manca
chi agita i fantasmi dell’insicurezza che in nessun modo è possibile paragonare
alle condizioni di chi vive sotto le bombe, che, quando non uccidono al momento
in cui colpiscono, ti uccidono subito dopo esplodendo nel tuo corpo. Nasce
allora in noi quell’indifferenza che scaturisce dal fatto che “il troppo grande”
ci lascia “freddi”, perché il nostro sentimento di reazione si arresta alla
soglia di una certa grandezza, e ridotti a un tale analfabetismo emotivo
continuiamo la nostra vita a colpi di rimozione, che ha come suo effetto quello
di amputare in noi immaginazione, percezione e sentimento. Questa amputazione
che ci rende insensibili alle sorti dei nostri simili, è peggiore persino di
quello che sta accadendo in Siria o in qualunque altro teatro di guerra perché,
come scrive Gunther Anders:” L’inadeguatezza del nostro sentire, il suo
fallimento è ciò che rende possibile la ripetizione di queste terribilissime
cose, ciò che facilita il loro accrescersi, ciò che probabilmente rende
addirittura inevitabili questa ripetizione e questo aumento. Infatti ad
incepparsi non sono solo i sentimenti dell’orrore o della compassione, bensì
anche il sentimento della responsabilità che si arresta non appena si sia
superato una certa grandezza. E poiché vige questa regola infernale, il “mostruoso”
ha via libera”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 2 giugno 2018 -
Nessun commento:
Posta un commento