Un ‘opera d’arte è spesso molte cose
insieme. Va in questa direzione Nel ventre della balena di Edward Carey, che
prima di tutto è un libro, o meglio un diario, l’impossibile taccuino tenuto da
mastro Geppetto dopo essere stato inghiottito dal cetaceo (ma l’originale lo
chiama “pescecane”) mentre cercava in mare il suo Pinocchio: “Scrivo questo
resoconto, fra le pagine del libro di un altro, a lume di candela, dentro la
pancia di un pesce…”. Per lo scrittore e illustratore inglese, autore della
saga gotica Iremonger, Le avventure di
Pinocchio è “il libro più importante di tutti”. Ma sui due anni trascorsi
dal falegname dentro il mostro marino Collodi si diffonde poco, Da sempre
affascinato dalle scritture dell’immaginario, è proprio in tale assenza che
Carey legge un’opportunità, uno spin-off
in cui è Geppetto a parlare di sé: rimasto solo, si fa strada nell’enorme
ventre umido e buio, dove trova ad accoglierlo un’imbarcazione (la goletta
Maria varata a Copenaghen e affondata a Capo Horn intorno al 1876) che per lui
vuol dire cibo, gallette e carne in scatola, e quattro casse di candele con cui
illuminare quel buio eterno che sembra una morte. Ed è la paura della morte a
spingere Geppetto. con pennelli creati dalla sua barba – a scrivere le storie
che ha dentro, scivolando inevitabilmente nel raccontare la propria: il padre
ceramista sempre deluso da lui, la madre morta di colera quando era ancora
piccolo. Il primo amore per Agnese, la figlia del macellaio. Soprattutto,
racconta la solitudine: “Lo striscio dietro le quinte della vita” annota con
mestizia. A salvarlo però, pensano le sue mani: “Sarei forse sparito del tutto,
non fosse che facevo il falegname. La mia arte è più audace di quanto io non
sia”. Così, come con Pinocchio prima, anche adesso a bordo della goletta
Geppetto decide di popolare la sua solitudine, intagliando e scolpendo i
materiali di cui dispone: ossa, legno, ceramica, cera. Ed è qui, nell’effetto
della molteplicità (per usare una parola cara a Calvino) che Carey crea la sua
opera d’arte: oltre a prestare la voce a Geppetto, l’autore ha anche fabbricato
gli oggetti con cui immagina che il falegname rammemori la sua vita. Sfilano
così, insieme agli acquerelli dei personaggi della favola originale, una
finestra aperta su un paesaggio dipinta sull’anca di un animale o un bambino di
nome Otto costruito con pezzi di ceramica diversi: e ancora i pennelli da
barba, i ritratti dei volti amati dipinti sul legno delle assi della nave, una
piccola statua di cera di candela che raffigura Geppetto solo e pensoso, in
attesa di riabbracciare il suo “adorato Pinocchio”. Sculture e dipinti sono
adesso esposti – fino al 2 settembre – proprio nel parco di Pinocchio a Collodi
(Pistoia), nella mostra curata da Alba Donati e promossa dalla Fondazione Carlo
Collodi in collaborazione con la Milanesiana di Elisabetta Sgarbi. (..).
Angelo Molica Franco – Cultura – Il Venerdì di La Repubblica –
13 luglio 2018 -
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