Un Paio Di mesi fa, non troppo lontano dal mio
compleanno, decisi di farmi un regalo. Non so se me lo meritassi ma di certo,
in base a quelle paradossali ma inconfutabili logiche
consumistico-consolatorie, ne avevo un gran bisogno, L’avevo visto su Internet
qualche tempo prima e me ne ero innamorata. Quando ero triste o di cattivo
umore andavo a riguardarmelo e pensavo che, prima o poi, sarebbe stato mio e,
con lui, per quel superpotere gratificante di alcuni oggetti, la vita sarebbe
stata più semplice. Era un braccialetto di corda con al centro, una piccola
casa in oro, stilizzata come quelle che disegnano i bambini, con due muri ai
lati, un tetto in alto e una porta al centro. Mi rappresenta proprio, pensai una
mattina. E quel pomeriggio finalmente lo comprai. Quando il pacchettino arrivò
e il mio regalo fu mio, nel mettermelo al polso pensai che, in alternativa,
avrei potuto scegliere l’immagine di uno squalo, di una ballerina, di
un’automobile, di un calice di champagne. E invece no. Erano le quattro mura domestiche
a somigliarmi. Rassicurante? Deprimente? Disperante? La mia indole abitudinaria
e feticista ha fatto sì che quella casetta da allora non l’abbia mai tolta e,
avendola sotto gli occhi quotidianamente ho capto che, più che spiegare chi
sono, dice soprattutto quello che non sono. E ci vogliono lucidità, onestà e
anche un po' di coraggio a dichiarare tutto quello che non si è, a dispetto
delle ambizioni, delle velleità, dell’immagine che di noi, intenzionalmente o
meno, diamo al prossimo. E poiché l’identità passa dalle negazioni, è un
esercizio utile, per capire e capirsi, definire per sottrazione, nella speranza
che, in fondo alla lista dei meno, energia fulgida anche un po' di sostanza.
Quella casetta dice che non sono trasgressiva e, a pensarci bene, non è
divertentissimo: non fumo, non bevo, non tiro tardi, non sono dissoluta né temeraria.
E non è una questione di anagrafe, esperienza o maturità: per il lato oscura
ero una causa persa anche da adolescente, quando la corteccia prefrontale del
cervello, quella che ci rende assennati, è ancora immatura e la prudenza è un
concetto fisiologicamente ignoto. Non sono capace di farmi i selfie: quando ci
provo - perché se tutti li fanno un
motivo dovrà pur esserci – mi trovo ridicola e anche un po' patetica. Detesto
guardarmi in un video e i riflettori mi imbarazzano. Non sono mattiniera. E
quando la mia sveglia suona alle 4 e 20 del mattino per un quotidiano,
fantastico ma massacrante lavoro radiofonico, soffro terribilmente e dico
parolacce. Non sono una mamma alfa e nemmeno una donna alfa e intorno a me mi
paiono sempre tutte più adeguate, risolte, pacificate. Non sono fatale, non
cammino sui tacchi, non so farmi la piega e con il rossetto rosso mi sento
buffa. Non ho l’animo della leader, il potere non mi interessa e nemmeno il
comando. Ma non sono neppure gregaria. Non sono un animale politico, non sono pacificata,
non sono paziente né sicura del fatto mio. Non sono un’avventuriera, né un’anarchica,
non sono credente né devota a niente e nessuno. Credo negli uomini, fortemente,
anche quando l’evidenza suggerirebbe il nichilismo. Ci accomodiamo dentro vite
che, se siamo fortunati, ci somigliano. Eppure c’è sempre qualcuno che ci
vorrebbe diversi o che ci reputa quello che non siamo. E la tentazione di
compiacerlo o di non deluderlo ci porta a vestirci di maschere soffocanti, di
abiti fuori misura, di sorrisi falsi, di un’ipocrisia vischiosa e senza scampo,
di un inganno velenoso.
Claudia de Lillo – Opinioni - Donna di La Repubblica – 7 luglio
2018 -
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