Alla vigilia di una possibile guerra
in Libia, l’opinione pubblica s’interroga sugli aspetti morali e legali e sui
rischi di rappresaglia di un’azione militare contro l’Is. I talk show si
animano del dibattito ormai decennale fra interventisti e pacifisti, con
corredo d’insulti reciproci fra il falco Luttwak, ormai una parodia, e
l’avversario di turno. Ma nessuno di loro, favorevoli o contrari
all’intervento, come prima dell’Iraq o dell’Afganistan, sembra porsi la domanda
più brutale ma anche essenziale quando si parte per una guerra: possiamo
vincere? Sembra una domanda assurda, perché gli uni e gli altri, interventisti
e pacifisti, danno per scontata la superiorità militare sul nemico. Si tratta
soltanto di credere o non di credere nell’uso delle armi per risolvere la nuova
minaccia. Peccato che la storia dica il contrario. Dal Vietnam in poi,
nonostante la crescente superiorità militare e tecnologica, l’Occidente ha
perso tutte le guerre. Con una sola eccezione, nel 1983, l’invasione americana
di Grenada: un’isola di centomila anime. Per il resto, le guerre occidentali si
sono rivelate catastrofi umanitarie, economiche e militari risolte con ritirate
rovinose che hanno lasciato la situazione peggiore di come l’avevano trovata,
in Somalia, Iraq, Afghanistan. Contro l’Is l’unica grande vittoria è stata
finora Kobane, combattuta sul campo dai
curdi. La nostra opinione pubblica non regge il peso dei morti che una guerra
sempre comporta. Giusto (io credo di sì) o sbagliato, questo è il dato di
fatto. Un grande esperto di guerriglia come Gérard Chaliand ha dedicato a
questi temi studi fondamentali, purtroppo ancora non tradotti in italiano. Se
l’Occidente prendesse coscienza di questa incapacità di vincere una guerra,
nonostante gli spaventosi bugdet, i droni e le altre tecnologie, riuscirebbe a
concentrarsi su soluzioni politiche più efficaci. Forse la smetteranno anche di
finanziare finti alleati, come la Turchia e l’Arabia Saudita. che fanno il
doppio gioco. Ora per esempio garanzie , quali garanzie abbiamo da Erdogan che
utilizzerà i tre miliardi dell’Europa per accogliere i rifugiati? Nessuna.
Perché l’Arabia Saudita, un Paese dove le donne non possono neppure guidare
l’auto, dovrebbe davvero combattere il fanatismo islamista (che in realtà
mantiene)? Altre domande che nessuno pone. Nell’illusione che alla fine, se
fallisce la politica, rimanga sempre
l’ultima ratio della guerra.
Da perdere.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 11
marzo 2016 -
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