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sabato 5 marzo 2016

Lo Sapevate Che: Amore e gelosia non sono solo moti del cuore...



Qualche settimana fa ho letto su D, nello stesso numero, la sua risposta a una lettera dedicata al rapporto tra amore, libertà e pulsioni, e un articolo sulla gelosia come sentimento riabilitato. Ciò mi ha portato a riflettere sull’idea contemporanea di amore, giungendo alla conclusione che oggi c’è una gran confusione sentimentale. Siamo gelosi in una società che ci impone di non esserlo. Chiediamo libertà incondizionata in una società ancora radicata nei valori del passato. Fondiamo ogni nostro investimento sull’amore e vacilliamo quando l’effetto boomerang si fa sentire. Cosa vogliamo costruire? Credo che alla base di tale confusione ci sia una difficile intelligibilità del sé, in un modo che racchiude la pulsione di libertà e crea un corto circuito con quella del possesso. Penso che, prima di poter dare qualcosa a qualcun altro, dovremmo essere più consapevoli di noi stessi, ovvero prima di amare, dovremmo saperci amare. Ma come amare se stessi quando non sappiamo dove collocarci? La vera sfida è imparare ad amare noi stessi, e di conseguenza l’altro, dentro di noi. E’ qui (e solo qui) la nostra sicurezza.          
Caterina Bigliardo c.bigliardo@yahoo.it
Siamo soliti pensarci più evoluti di quello che in realtà siamo e perciò affidiamo i nostri sentimenti di amore, di odio, di fedeltà, di gelosia alle vicissitudini del nostro cuore, quando invece altro non sono che macchine per garantire la nostra sussistenza nel modo meno disastroso possibile. Gli antropologi, che hanno studiato le modalità di convivenza dei primitivi, dove le condizioni di vita erano più naturali e meno artificiali delle nostre, ma anche più precarie e meno garantite, ci dicono che la gelosia non era qualcosa di connesso ai sentimenti d’amore, di fedeltà e di tradimenti, ma semplicemente un requisito che garantiva le condizioni di sopravvivenza dell’ordine tribale. Infatti, attraverso la gelosia di maschio si tutelava dall’eventualità di allevare figli non suoi, e la donna, sempre attraverso la gelosia, garantiva a sé e ai suoi figli cibo e sicurezza.  Va da sé che quando la società passa dalla povertà all’opulenza, dove le condizioni di sussistenza dipendono sempre meno dalla solidità dei legami familiari, la gelosia cessa di svolgere la funzione di garanzia della coesione del gruppo, per apparire come un sentimento arretrato che risponde più al bisogno di possesso che all’amore. Da questo si deduce che sono le condizioni sociali a decidere la natura e la qualità dei sentimenti.(..). In una parola, sotto l’ostentata purezza dei nostri sentimenti c’è in realtà una serie di condizioni che riteniamo necessario procurarci per garantirci la vita. Perché è alla vita che noi siamo davvero attaccati e l’amore è solo uno strumento per mantenerla nei modi che a noi sembrano più opportuni. (..). Già nell’infanzia, quando abbiamo dovuto rinunciare al possesso esclusivo di nostra madre, abbiamo iniziato a far crescere dentro di noi la paura di essere abbandonati o rifiutati, o chiamiamo “amore” l’evento che attenua e sopisce questa paura, finché il sospetto di un tradimento non attiva la gelosia, che Shakespeare nell’Otello definisce: “Un mostro dagli occhi verdi, che odia il cibo di cui si pasce”. Questo cibo è l’amore che, quando esce di scena, indebolisce la vita. Cara lettrice, con questa risposta alla sua lettera, che invita a cercare risposta dentro di sé e nell’amore di sé ciò che ci rassicura nei nostri sentimenti, non voglio deluderla, ma solo invitarla a considerare che spesso le radici dei nostri sentimenti, anche di quelli che ci paiono più puri, affondano in regioni misteriose dove quel che s difende non è l’amore, ma la vita.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 27 febbraio 2016 -

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