Il
teologo, arcivescovo di Chieti-Vasto, offre la sua riflessione sulla nascita di
Gesù. In piena emergenza sanitaria, spiega, guardare al bambino vuol dire
ricordarsi che Dio non si stanca di amare
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Un Natale che porta con sé mesi di
sofferenza, di durezza, di perdita. La pandemia ha messo a dura prova la vita
delle persone, costringendole spesso ad affrontare da sole dolori grandi come
la morte dei propri cari o l’impossibilità di stare accanto a chi vive in
sofferenza.
E’ stato un tempo che in tanti hanno
vissuto con un cuore appesantito ma prima la Pasqua, vissuta in lockdown in
Italia, oggi il Natale vengono a dirci che c’è un bene grande che non muore,
che la vita rinasce nel calore di una mangiatoia, che le restrizioni e i disagi
li hanno vissuti anche Giuseppe e Maria, come sottolineato da Papa Francesco
all’udienza
generale del 16 dicembre, ma “la fede, la
speranza e l’amore li hanno guidati e sostenuti”. Nell’essenzialità hanno
trovato il senso, la direzione del loro cammino, negli occhi del Bambino hanno
scoperto il Mistero da accogliere.
La festa del Natale ci ricorda che Gesù
è la nostra pace, la nostra gioia, la nostra forza, il nostro conforto. Ma, per
accogliere questi doni di grazia, occorre sentirci piccoli, poveri e umili come
i personaggi del presepio. Anche in questo Natale, in mezzo alle sofferenze
della pandemia, Gesù, piccolo e inerme, è il “Segno” che Dio dona al mondo.
(Papa Francesco, Angelus
13 dicembre 2020)
Carità e speranza: i volti del Natale
Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti – Vasto, spiega il senso del
Natale in questo momento di grande difficoltà a causa della pandemia:
R. - Che cos'è il
Natale? Il Natale per la fede cristiana non è semplicemente la memoria della
Incarnazione del figlio di Dio ma è la certezza di fede che questo nuovo inizio
è sempre nuovo. Dio non è stanco di amare gli uomini, Egli ci destina all'amore
e inizia, con rinnovato slancio di donazione, la sua prossimità verso tutti
noi. Se questo è valido per il Natale sempre, tanto più è importante
ricordarcelo per questo Natale che è segnato dalla tristezza della pandemia,
con tutto il bagaglio di sofferenza e di dolore e purtroppo anche di morte che
porta con sé. Questo Natale viene a dirci che Dio non si è dimenticato di noi
anche nella pandemia e che dunque possiamo continuare a sperare, confidare in
lui nella certezza che non ci lascerà soli. Certamente occorrerà attraversare
la prova e occorrerà attraversarla mantenendo anche la fiamma della fede, della
speranza e della carità, come tutti stiamo sperimentando di fronte a quello che
sta avvenendo. Ma certamente la prova non avrà l'ultima parola: questa è la
grande speranza del cristiano, una speranza che naturalmente si traduce anche
in termini concreti, per esempio, nella necessità e nella fiducia nel vaccino
che finalmente arriva e che mi sembra atto responsabile da parte di tutti
accettare per immunizzarsi di fronte a questa pandemia e a questo virus
terribile. Dunque siamo di fronte a un nuovo inizio che spinge a concretizzare,
nella responsabilità e poi nella solidarietà verso i più deboli, l'amore che
Dio ci è venuto a rivelare, a donare.
Papa Francesco,
l’otto dicembre scorso, ha donato alla Chiesa l'anno di San Giuseppe, uomo del
silenzio che ci dice molto anche in questo tempo di pandemia.
R. – Giuseppe viene
definito dalla Scrittura un uomo giusto, questa non è semplicemente una
qualificazione morale, perché giusto in ebraico “zaddiq” è un termine che,
nell'Antico Testamento, sta a significare la persona che è totalmente
confidente in Dio. Questo è stato Giuseppe: lui si è fidato di Dio più
dell’evidenza agli occhi del mondo, così per esempio, nell'accettare il
concepimento miracoloso della sua sposa da parte dello Spirito Santo per la
nascita del Verbo nella carne. Quindi Giuseppe ci insegna soprattutto questo:
che chi crede in Dio deve fidarsi e affidarsi a Dio senza riserve anche nei
momenti che possono sembrare più scuri, dove la presenza di Dio sembra meno
evidente, meno comprensibile come può essere quello così difficile della
pandemia, ma veramente il giusto continua a confidare in Dio anche nell'ora del
dolore. E’ la prova che questo Dio non lo abbandona e non abbandona la famiglia
umana, quello che viene dato a Giuseppe è la gioia, l’amore, la grazia di
essere il padre putativo di Gesù, colui che accompagna e custodisce, “fidelis
custos”, la Santa Famiglia negli anni dello sviluppo umano e della
formazione del Bambino Gesù fino agli inizi della sua missione. E’ un esempio,
un modello, un incoraggiamento a credere nell'impossibile possibilità di Dio
anche in un momento così difficile, come quello che stiamo vivendo in questo
Natale.
In questo Natale che
Papa Francesco ci ha chiesto di vivere in modo più religioso, più autentico e
più vero, qual è la parola che segna questo tempo per lei?
R. – Ci sono due
aspetti da evidenziare. La carità perché la carità è il volto del Dio cristiano
ed è anche quello che in questo momento deve sostenere il nostro impegno gli
uni verso gli altri, specialmente verso i deboli nella solidarietà. Ma l'altro
nome della carità, dell'amore che viene dall’alto, è la speranza cioè la
certezza che questo è un amore fedele, che Dio non ama soltanto in un momento
ma ama sempre. E allora chi crede nella carità di Dio, chi si lascia amare da
Dio e con la forza che viene dall'alto si impegna a vivere gesti di
condivisione e di solidarietà verso chi sta soffrendo. Allo stesso tempo non si
può fare a meno di avere anche la speranza e la fiducia nell’amore di Dio che è
fedele in eterno e dunque anche il domani sarà un domani di nuovo inizio e di
luce. Quello che Papa Francesco ha ribadito è che la cosa peggiore è sprecare
la pandemia e soprattutto non cambi nulla rispetto a ciò che era prima. La
pandemia esige un nuovo inizio ma deve essere un nuovo inizio di carità e di
speranza.
https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-12/natale-riflessione-monsignor-forte-speranza-carita-coronavirus.html
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