Piazza Fontana,
50 anni fa la strage che diede il via alla lunga stagione dei misteri d’Italia
La bomba che esplose a Milano il 12
dicembre 1969 provocò 17 morti e 88 feriti: un attacco che non ha precedenti
nella breve storia della nostra Repubblica. Ancora oggi, per la giustizia,
nessuno è stato riconosciuto colpevole. Molti, e fin da subito, i depistaggi
di Dario Ceccarelli
Quel giorno di 50 anni fa - il 12
dicembre 1969 - era un venerdì. Un venerdì con un grigio
velo di nebbia, come capitava spesso a Milano in quegli inverni, allora ancora
cattivi. Natale era vicino e il freddo si faceva sentire anche in piazza
Fontana dove c'era la Banca dell'Agricoltura. Alle 16.30 tante gente vuole
ancora entrare perché quella banca per i suoi clienti tiene aperto fino a
tardi.
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Strage Piazza
Fontana, cosa è successo a Milano il 12 dicembre 1969
Sono clienti
un po' speciali: agricoltori, allevatori di bestiame, venditori di sementi che
vengono dal Lodigiano e dalla Lomellina, clienti che trasformano il grande
salone della Banca in un brulicante mercato d’affari e contrattazioni. Pieno,
molto pieno. Perfetto per farci esplodere una bomba (video) e trasformarlo in un mattatoio.
Ma chi ci
pensa a morire quel giorno? Non è cosa. È venerdì pomeriggio, spuntano già i
primi addobbi, i negozi sono affollati, e proprio quel giorno, lo riportano i
giornali, «Il governo assicura che la tredicesima degli statali sarà pagata
nonostante lo sciopero dei bancari». Una buona notizia in vista delle feste.
16.37: le
lancette della Storia si fermano
Ma le lancette della Storia - e quelle del timer della bomba - si fermano alle 16.37. Pochi secondi prima un
venditore di bestiame, Pietro Dondena di Lodi, arriva tutto affannato nel
grande tavolo ottagonale del salone. E dice a un amico: «Non senti puzza di
bruciato?»
Poi è l'inferno. Un enorme boato, il buio e un lungo silenzio rotto dai lamenti
dei sopravvissuti. Una macelleria fumante.
«Ero
paralizzato dalla paura», racconta Giampaolo Pansa, inviato della Stampa.
«Guardavo la voragine piena di corpi mutilati che bruciavano ancora. Mi assalì
un pungente odore d mandorle amare. Poi seppi che per la strage era stata usata
la gelignite, un esplosivo che lascia nell’aria quel sentore».
12 dicembre
2019
La madre di
tutte le stragi
Una strage. La madre di tutte le stragi, come ha scritto Benedetta Tobagi nel
libro “Piazza Fontana, il processo impossibile”. Diciassette morti e 88 feriti,
un attacco al cuore dell’Italia, a 200 metri dal Duomo e a fianco
dell'Arcivescovado, che non ha precedenti nella breve storia della nostra
Repubblica. La città è avvolta dalla paura, con le sirene delle ambulanze che
lacerano i timpani.
Sulle prime
si parla di una caldaia. Ma la verità emerge presto. Achille Serra, giovane
funzionario di polizia, poi prefetto di Roma, racconta: «Altro che caldaia!
Quando vidi quello che era successo gridai al telefono che servivano 100
ambulanze. In questura non mi credevano. Alla fine di ambulanze ne arrivarono
98».
Ma non era
l’unica bomba. In totale erano cinque. Due a Milano alla Banca dell’Agricoltura
e nell’atrio della sede centrale della Banca Commerciale in piazza della Scala.
E tre a Roma: una dentro un passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del
Lavoro, le altre all’Altare della Patria, su entrambi i lati. Tutte esplose,
tranne quella collocata alla Commerciale.
Il primo di
molti depistaggi
Ecco una delle prime incongruenze. Una bomba non esplosa è una traccia, come
lasciare una firma per arrivare a chi l’ha messa. L'ordigno, contenuto in una
borsa di pelle nera, viene invece fatto brillare da un artificiere su
indicazione di un sostituto procuratore che, quel venerdì, non era nemmeno di
turno. «Se invece di farla saltare l’avessero aperta», dichiarò il giudice
istruttore Gerardo D'Ambrosio , «il caso sarebbe stato risolto in pochi
giorni».
È il primo dei tanti depistaggi di una
vicenda che subito puzza. E con una regia occulta che sposta dove vuole il
timone della giustizia. Un timone che ha già individuato i colpevoli: gli
anarchici. Un bersaglio facile, in un periodo costellato di forti tensioni
sociali, di lotte e scioperi nelle fabbriche e nelle università. Siamo ancora
in un mondo diviso in due blocchi: e il Partito Comunista è il secondo partito
italiano in un contesto, quello mediterraneo, che non lo permette. In Grecia ci
sono i colonnelli. In Spagna comanda ancora un dittatore di estrema destra:
Francisco Franco.
Le indagini
sugli anarchici
L'uomo giusto per finire nel tritacarne si chiama Pietro Valpreda, ha 37 anni,
ed è un ballerino che galleggia tra Milano e la Capitale. A Roma fa parte del
Circolo 22 Marzo, un gruppo con più neofascisti infiltrati che anarchici, uno
dei quali è Mario Merlino, anche lui subito accusato. Valpreda è un
chiacchierone, un ciacerun come dice di lui Giuseppe Pinelli,
ferroviere di Porta Garibaldi, fermato dai poliziotti in una retata al circolo
anarchico di via Scaldasole.
Due uomini
molto diversi, ma entrambi poco credibili come ideatori e realizzatori di un
piano così ambizioso e feroce. Valpreda è uno che la rivoluzione la fa al bar,
dicono gli amici. Pinelli, invece, è un tipo quadrato: buon lavoratore,
sposato, padre due figlie, amichevole perfino coi poliziotti.
Ma il
tritacarne li fa a pezzi entrambi. Valpreda, descritto dai quotidiani come il
“mostro”, viene inguaiato da un tassista, Cornelio Rolandi, milanesone di 47
anni. Rolandi, dopo diversi tentennamenti, dice d’averlo riconosciuto: che è
lui l’uomo che ha portato alla Banca dell'Agricoltura con una borsa in mano
prima dello scoppio. Curioso: che un attentatore per mettere una bomba si
faccia accompagnare in taxi.
È il 16
dicembre: «Valpreda è uno dei colpevoli di Piazza Fontana», annuncia un
giovanissimo Bruno Vespa dalla televisione. Un colpevole perfetto: anarchico,
testa calda. Resterà tre anni in carcere da innocente. Rolandi, il tassista,
muore invece all’improvviso, il 13 luglio 1971, prima di poter testimoniare in
uno dei tanti processi successivi.
Il caso di
Giuseppe Pinelli
Anche per Giuseppe Pinelli finisce male. «Un anarchico verso mezzanotte è
caduto dalla questura», racconta trafelato Aldo Palumbo, cronista dell’Unità
che fa il turno di notte. Al giornale, quando dice che Pinelli gli è quasi
caduto addosso, pensano che Palumbo abbia bevuto. È la notte tra il 15 e il 16
dicembre. Il questore Guida spiega che Pinelli si è ucciso «quando ha capito di
essere perduto».
Si apre un
altro mistero, uno dei tanti, rimasti ancora irrisolti e che introdurranno a
una lunga stagioni di stragi e altri misteri. Una sentenza del 1975 stabilì che
Pinelli era morto per un «malore attivo» che lo aveva spinto, incosciente, a
cadere dalla finestra. Adesso, dopo 50 anni, due lapidi, una del Comune di
Milano, l’altra di semplici cittadini, lo ricordano proprio in piazza Fontana.
Sono vicine.
Nella lapide
del Comune si legge: «A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico innocente morto
tragicamente nei locali della questura di Milano il 15 dicembre 1969».
Nell'altra lapide, al posto che “morto” è stato scritto “ucciso”. La
diciottesima vittima della strage di Piazza Fontana.
Il
colpevole? Per la giustizia non c’è
Ecco, a questo punto, chi è più giovane (e non solo) dirà: beh, chi è il
colpevole? Chi ha ideato e organizzato la strage di Piazza Fontana?
Dopo mezzo secolo di infinite indagini e infinti depistaggi bisogna dire:
“nessuno”. Nessun colpevole. Almeno per la giustizia. Una beffa sottoscritta
perfino dalla Cassazione che nel 2005, dopo 36 anni e tre processi (con tanti
spezzoni), il primo dei quali incredibilmente a Catanzaro, ha dovuto confermare
che non poteva emettere un concreto giudizio di colpevolezza.
Poteva però, dal punto di vista storico, affermare la
responsabilità eversiva dell’organizzazione neofascista Ordine Nuovo e quella
più specifica di Franco Freda, all’epoca procuratore legale a Padova e di
Giovanni Ventura, libraio a Castelfranco Veneto. Entrambi erano stati
condannati in primo grado e poi assolti in Appello per lo stesso reato, insieme
a Guido Giannettini, agente del Sid ed esperto di ambienti militari. Quindi
tutti non più processabili perchè assolti in via definitiva.
Le molte domande aperte
Insomma, la madre di tutte la stragi, non ha una conclusione processuale. E
tutto si perde nella nebbia. Senza rispondere alle domande più inquietanti.
Perchè fu subito seguita la pista anarchica anche quando faceva acqua da tutte
le parti? Perchè venne fatta scoppiare l’unica bomba inesplosa che poteva
invece riportare agli attentatori? Perché i servizi segreti fecero di tutto per
allontanare le indagini dai gruppi di estrema destra? Tante domande pesanti,
non ultima quella sulle responsabilità politiche.
« I governi dell'epoca hanno negato a lungo che
Giannettini fosse un agende del Sid», ha scritto Guido Salvini, giudice
istruttore di una inchiesta sulle attività eversive dell’estrema destra: «È
evidente che sapevano chi fosse Giannettini e che costituiva l’elemento di
raccordo con la cellula padovana di Ordine Nuovo, quella di Freda e di Ventura.
È anche
https://www.ilsole24ore.com/art/piazza-fontana-50-anni-fa-strage-che-diede-via-lunga-stagione-misteri-d-italia-ACcgEJ3per
questo che Piazza Fontana si può definire una strage di Stato».
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