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sabato 27 agosto 2016

Lo Sapevate Che: Che progresso è se fa a meno degli uominii?...



Sono un tecnico, un ingegnere, e credo che dietro il disastro del monto ci sia la politica, non la tecnica cementata di razionalità. Se solo una frazione delle capacità tecniche fosse messo a servizio del progresso, non staremmo a parlare di riscaldamento globale, di crisi, di Isis, di alienazione. Ma i comandi sono in mano alla politica che ha scarsissime competenze tecniche. Io lavoro in sistemi di controllo di centrali termoelettriche, cavalcando i giga watt, e però preferirei che si abbandonassero questi impianti che accentrano grande potenza e potere. Soprattutto, sono assolutamente contrario al nucleare, perché un sistema in grado di domare un mostro simile richiederebbe una perfezione tecnica che non si può mettere in campo, date le risorse a disposizione. Un tecnico esegue, perché le decisioni tecniche, non le prende la tecnica, ma le prendono la politica e l’economia che, se solo fossero meno cieche e tecnicamente ignoranti, non farebbero scelte facili, populiste e suicide.                                                                                  Saluti, Franco Boggi   franco.boggi@gmail,com

Il suo ragionamento che a far disastri sulla Terra non è la Tenica con la sua razionalità ma la politica con il suo arbitrio non farebbe una piega, se la tecnica fosse un’arte  innocente e non condizionata dall’opinione dei tecnici, che difficilmente concordano sulle vie da seguire. Alcuni tecnici sono favorevoli al nucleare, altri non cessano di spaventarci illustrandoci i rischi che corriamo. Alcuni dicono che gli organismi geneticamente modificati non procurano alcun danno alla nostra salute, altri invece ci terrorizzano circa il futuro dell’umanità se questa pratica divenisse globale. Certi ritengono che il riscaldamento della Terra sia causao dall’uomo, altri ci dicono che tutto dipende dai normali cicli della natura. Cosa ci insegna tutto questo? Che i problemi che ho citato sono così grandi da trascendere la competenza specifica di ciascun tecnico (a cui peraltro manca la possibilità per verificare sui tempi lunghi, quindi per le generazioni  future, l’effetto delle sue convinzioni).Oppure, più semplicemente, che occorre non dimenticare che anche i tecnici sono uomini, oltre alle competenze specifiche, hanno idee personali, passioni, appartenenze politiche, interessi privati che non consentono loro di dire la pura verità.(..). Questa considerazione ha anche un aspetto positivo. Ci ricorda che l’uomo, come dicevano i Greci, è un “animale politico”, irrimediabilmente politico. Nel senso che vivi con gli altri, con interessi contrapposti, con passioni le più differenziate a cui seguono decisioni che – a differenza delle decisioni tecniche – non sono spassionate e neppure sempre e solo razionali. Io non sono contro la tecnica che ci fa vivere meglio dei nostri nonni (anche se per esserne certi dovremo attendere ancora una o due generazioni). Io sono contro, e per quel che posso combatto, l’eventualità che la razionalità della tecnica diventi la razionalità universale. Perché in questo caso avremmo non solo una dittatura più costrittiva di quella dei fascismi e dei comunismi, dove tutto ancora dipendeva da un uomo o da un apparato a cui potersi ribellare, ma la perdita di tutte quelle espressioni irrazionali che rendono l’uomo capace di amare, piangere, sorridere, di guardare il cielo senza altro scopo che non sia contemplarne la bellezza ( che, detto per inciso, è un altro fattore che dal punto di vista tecnico non riveste alcuna utilità). Le consiglio di leggere un libro che Gunther Anders, ponendosi provocatoriamente dal punto di vista della razionalità tecnica, ha intitolato  L’uomo è antiquato per illustrare come Prometeo, che il mito greco aveva “incatenato” a una roccia, oggi sa “scatenato”, poiché oggi la capacità della tecnica di “fare” è enormemente superiore alla nostra capacità di “prevalere”, siamo tornati all’angoscia di “prevedere”, siamo tornati all’angoscia che i primitivi provavano davanti all’imprevedibile. E il problema che si pone, scrive Anders, “non è che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 20 agosto 2016 -

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