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giovedì 14 ottobre 2021

Lo Sapevate Che: Hannah Arendt: Nata a Linden, nel cuore della Germania, e morta a New York nel 1975, è stata una figura eminente del secolo scorso. È ricordata per la sua opera di politologa, filosofa e storica


Il rimedio all’imprevedibilità della sorte, alla caotica incertezza del futuro è la facoltà di fare e mantenere promesse.” Hannah Arendt

 

La storia ai raggi X

La filosofa tedesca Hannah Arendt nasce il 14 ottobre 1906 a Linden, un sobborgo di Hannover, dove allora abitavano i suoi genitori Martha e Paul Arendt. La sua famiglia, appartenente alla borghesia ebraica e decisamente benestante, non aveva legami particolari con il movimento e con le idee sioniste. Pur non avendo ricevuto un'educazione religiosa di tipo tradizionale, comunque, la Arendt non negò mai la propria identità ebraica, professando sempre (ma in modo niente affatto convenzionale) la propria fede in Dio. Questo quadro di riferimento è estremamente importante, perché Hannah Arendt dedicò tutta la vita allo sforzo di comprendere il destino del popolo ebraico e si identificò totalmente con le sue vicissitudini.

Allieva di Heidegger a Marburg e di Husserl a Friburgo, nel 1929 si laureò in filosofia ad Heidelberg sotto la guida di Karl Jaspers con una dissertazione su "Il concetto di amore in Agostino". A proposito del suo rapporto con Heidegger, grazie a lettere e carteggi venuti alla luce fortunosamente, solo di recente si è scoperto che furono amanti.

Nel 1929, trasferitasi a Berlino, ottiene una borsa di studio per una ricerca sul romanticismo dedicata alla figura di Rahel Varnhagen ("Rahel Varnahagen. Storia di un'ebrea"). Nello stesso anno sposa Günther Stern, un filosofo conosciuto anni prima a Marburg. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunità ebraiche, La Arendt abbandona la Germania nel 1933 attraversando il cosiddetto "confine verde" delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koiré.

Fino al 1951, anno in cui le verrà concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. Nella capitale francese collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione di giovani ad una vita come operai o agricoltori in Palestina (l'Agricolture et Artisan e la Yugend-Aliyah) e diventa, per alcuni mesi, segretaria personale della baronessa Germaine de Rothschild. Nel 1940 si sposa per la seconda volta, con Heinrich Blücher. Ma gli sviluppi storici del secondo conflitto mondiale portano Hannah Arendt a doversi allontanare anche dal suolo francese.

Internata nel campo di Gurs dal governo Vichy in quanto "straniera sospetta" e poi rilasciata, dopo varie peripezie riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge insieme al coniuge nel maggio 1941. Dal 1957 comincia la carriera accademica vera e propria: ottiene insegnamenti presso le Università di Berkeley, Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social Research di New York.

Non bisogna dimenticare l'impegno costante nella sua lotta ai regimi totalitari e alla loro condanna, concretizzatisi da una parte con il libro-inchiesta su Adolf Eichmann e il nazismo: "La banalità del male" e, nel 1951, con il fondamentale "Le origini del totalitarismo", frutto di una accurata indagine storica e filosofica. Nel saggio, emergono giudizi negativi sia sulla Rivoluzione francese che su quella russa.

A questo proposito, sentiamo cosa dice George Kateb, uno dei massimi studiosi della filosofa, che così ne riassume il pensiero in relazione al male: "L'attenzione della Arendt si concentra sulla figura di Adolf Eichmann, seduto nella cabina di vetro e interrogato da un accusatore israeliano. Quando gli fu chiesto il motivo delle sue azioni, Eichmann rispose di volta in volta in modo diverso, ora dicendo che si era limitato a eseguire degli ordini, ora che aveva ritenuto disonesto non eseguire il lavoro che gli era stato affidato, ora che la sua coscienza gli imponeva di essere leale con i suoi superiori. In fondo, tutte le sue risposte si riducevano ad una sola: "Ho fatto quello che ho fatto".

Da ciò Hannah Arendt concluse che Eichmann diceva la verità, che non era un uomo malvagio, un crudele o un paranoico. E la cosa orribile era proprio questa, che si trattava di una persona comune, ordinaria, il più delle volte incapace di pensare, come la maggior parte di noi. Per la Arendt, tutti noi siamo per lo più incapaci di soffermarci a pensare e a dire a noi stessi cosa stiamo facendo, di qualunque cosa si tratti. A ben vedere, il punto focale dello studio di Hannah Arendt, ciò che guida il suo interesse per il totalitarismo è ben espresso da una frase di Pascal: "La cosa più difficile al mondo è pensare". Sia il libro sulle Origini del totalitarismo, sia quello su Eichmann possono essere considerati un commento a questa breve ma straordinaria frase di Pascal.

Eichmann non pensava, ed in ciò era come siamo tutti noi il più delle volte: creature soggette o all'abitudine o all'impulso meccanico. Si comprende, allora, perché il male venga definito "banale": esso non ha profondità, non ha nessuna essenza corrispondente ai suoi effetti. Tuttavia, secondo l'autrice, questa interpretazione psicologica di Eichmann non può essere estesa ai capi del nazismo, a Hitler, a Goering, a Himmler. Costoro avevano un certo spessore psicologico, erano ideologicamente impegnati. Eichmann, al contrario, era soltanto un funzionario: è questa la "banalità del male".

La differenza, quindi, che intercorre tra Le origini del totalitarismo e La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme consiste in ciò, che il primo parla, in prevalenza, di tutti coloro che fomentano il male, mentre il secondo, venendo a completare l'analisi dell'intero fenomeno, tratta della mentalità dei funzionari del male. Del resto, che il più grande criminale del XX secolo sia l'uomo di buona famiglia è un'idea che esce con forza dalla produzione della Arendt.

Si conclude così il suo sforzo di trovare una spiegazione al più orribile di tutti i fenomeni. E' argomento di discussione accademica se lei sia veramente riuscita in questo intento le sia veramente riuscito. Personalmente, sostengo che Hannah Arendt, nel tentativo di spiegare la causa e la natura del male del totalitarismo, sia andata più a fondo di George Orwell, di Simone Weil e di altri studiosi, e credo che ciò basti a farle meritare la nostra attenzione".

Ancora, è da ricordare la sua strenue difesa dei diritti dei lavoratori e delle associazioni durante la guerra del Vietnam e gli episodi di disobbedienza civile (gli scritti concernenti questa fase si trovano in "La disobbedienza civile").

Nel 1972 viene invitata a tenere le Gifford Lectures all'Università scozzese di Aberdeen, che già in passato aveva ospitato pensatori di prestigio come Bergson, Gilson e Marcel.

Due anni più tardi, durante il secondo ciclo delle "Gifford", subisce il primo infarto. Altre opere significative di questo periodo sono "Vita activa. La condizione umana" e il volume teoretico "La vita della mente", uscito postumo nel 1978, attraverso il quale la Arendt, sulla falsa riga degli autori greci tanto amati (un amore "inoculato" da Heidegger), riporta al centro dell'esistenza umana la "meraviglia" (il thaumàzein).

Il 4 dicembre 1975 la grande pensatrice Hannah Arendt si spegne a causa di un secondo arresto cardiaco, nel suo appartamento di Riverside Drive a New York.

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