La storia ai raggi X
La filosofa tedesca Hannah Arendt nasce
il 14 ottobre 1906 a Linden, un sobborgo di Hannover, dove allora abitavano i
suoi genitori Martha e Paul Arendt. La sua famiglia, appartenente alla
borghesia ebraica e decisamente benestante, non aveva legami particolari con il
movimento e con le idee sioniste. Pur non avendo ricevuto un'educazione
religiosa di tipo tradizionale, comunque, la Arendt non negò mai la propria
identità ebraica, professando sempre (ma in modo niente affatto convenzionale)
la propria fede in Dio. Questo quadro di riferimento è estremamente importante,
perché Hannah Arendt dedicò tutta la vita allo sforzo di comprendere il destino
del popolo ebraico e si identificò totalmente con le sue vicissitudini.
Allieva di Heidegger a
Marburg e di Husserl a
Friburgo, nel 1929 si laureò in filosofia ad
Heidelberg sotto la guida di Karl Jaspers con una dissertazione su "Il
concetto di amore in Agostino". A proposito del suo rapporto con Heidegger,
grazie a lettere e carteggi venuti alla luce fortunosamente, solo di recente si
è scoperto che furono amanti.
Nel 1929, trasferitasi a Berlino, ottiene una borsa di
studio per una ricerca sul romanticismo dedicata alla figura di Rahel Varnhagen
("Rahel Varnahagen. Storia di un'ebrea"). Nello stesso anno sposa
Günther Stern, un filosofo conosciuto
anni prima a Marburg. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e
l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunità ebraiche, La Arendt
abbandona la Germania nel 1933 attraversando il cosiddetto "confine
verde" delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra
giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter Benjamin e
il filosofo e
storico della scienza Alexander Koiré.
Fino al 1951, anno in cui le verrà concessa la
cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. Nella capitale
francese collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione di giovani
ad una vita come operai o agricoltori in Palestina (l'Agricolture et Artisan e
la Yugend-Aliyah) e diventa, per alcuni mesi, segretaria personale della
baronessa Germaine de Rothschild. Nel 1940 si sposa per la seconda volta, con
Heinrich Blücher. Ma gli sviluppi storici del secondo conflitto mondiale portano
Hannah Arendt a doversi allontanare anche dal suolo francese.
Internata nel campo di Gurs dal governo Vichy in
quanto "straniera sospetta" e poi rilasciata, dopo varie peripezie
riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge
insieme al coniuge nel maggio 1941. Dal 1957 comincia la carriera accademica
vera e propria: ottiene insegnamenti presso le Università di Berkeley,
Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for
Social Research di New York.
Non bisogna dimenticare l'impegno costante nella sua
lotta ai regimi totalitari e alla loro condanna, concretizzatisi da una parte
con il libro-inchiesta su Adolf Eichmann e
il nazismo: "La banalità del male" e, nel 1951, con il fondamentale
"Le origini del totalitarismo", frutto di una accurata indagine
storica e filosofica. Nel saggio, emergono giudizi negativi sia sulla
Rivoluzione francese che su quella russa.
A questo proposito, sentiamo cosa dice George Kateb,
uno dei massimi studiosi della filosofa, che così ne riassume il pensiero in
relazione al male: "L'attenzione della Arendt si concentra sulla figura
di Adolf Eichmann,
seduto nella cabina di vetro e interrogato da un accusatore israeliano. Quando
gli fu chiesto il motivo delle sue azioni, Eichmann rispose di volta in volta
in modo diverso, ora dicendo che si era limitato a eseguire degli ordini, ora
che aveva ritenuto disonesto non eseguire il lavoro che gli era stato affidato,
ora che la sua coscienza gli imponeva di essere leale con i suoi superiori. In
fondo, tutte le sue risposte si riducevano ad una sola: "Ho fatto
quello che ho fatto".
Da ciò Hannah Arendt concluse
che Eichmann diceva la verità, che non era un uomo malvagio, un crudele o un paranoico.
E la cosa orribile era proprio questa, che si trattava di una persona comune,
ordinaria, il più delle volte incapace di pensare, come la maggior parte di
noi. Per la Arendt, tutti noi siamo per lo più incapaci di soffermarci a
pensare e a dire a noi stessi cosa stiamo facendo, di qualunque cosa si tratti.
A ben vedere, il punto focale dello studio di Hannah Arendt, ciò che guida il
suo interesse per il totalitarismo è ben espresso da una frase di Pascal:
"La cosa più difficile al mondo è pensare". Sia il libro sulle
Origini del totalitarismo, sia quello su Eichmann possono essere considerati un
commento a questa breve ma straordinaria frase di Pascal.
Eichmann non pensava, ed in ciò era come siamo tutti
noi il più delle volte: creature soggette o all'abitudine o all'impulso
meccanico. Si comprende, allora, perché il male venga definito
"banale": esso non ha profondità, non ha nessuna essenza
corrispondente ai suoi effetti. Tuttavia, secondo l'autrice, questa
interpretazione psicologica di Eichmann non può essere estesa ai capi del
nazismo, a Hitler,
a Goering,
a Himmler.
Costoro avevano un certo spessore psicologico, erano ideologicamente impegnati.
Eichmann, al contrario, era soltanto un funzionario: è questa la "banalità
del male".
La differenza, quindi, che intercorre tra Le origini
del totalitarismo e La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme consiste in
ciò, che il primo parla, in prevalenza, di tutti coloro che fomentano il male,
mentre il secondo, venendo a completare l'analisi dell'intero fenomeno, tratta
della mentalità dei funzionari del male. Del resto, che il più grande criminale
del XX secolo sia l'uomo di buona famiglia è un'idea che esce con forza dalla
produzione della Arendt.
Si conclude così il suo sforzo di trovare una
spiegazione al più orribile di tutti i fenomeni. E' argomento di discussione
accademica se lei sia veramente riuscita in questo intento le sia veramente
riuscito. Personalmente, sostengo che Hannah Arendt, nel tentativo
di spiegare la causa e la natura del male del totalitarismo, sia andata più a
fondo di George Orwell,
di Simone Weil e
di altri studiosi, e credo che ciò basti a farle meritare la nostra
attenzione".
Ancora, è da ricordare la sua strenue difesa dei
diritti dei lavoratori e delle associazioni durante la guerra del Vietnam e gli
episodi di disobbedienza civile (gli scritti concernenti questa fase si trovano
in "La disobbedienza civile").
Nel 1972 viene invitata a tenere le Gifford Lectures
all'Università scozzese di Aberdeen, che già in passato aveva ospitato
pensatori di prestigio come Bergson,
Gilson e Marcel.
Due anni più tardi, durante il secondo ciclo delle
"Gifford", subisce il primo infarto. Altre opere significative
di questo periodo sono "Vita activa. La condizione umana" e il volume
teoretico "La vita della mente", uscito postumo nel 1978, attraverso
il quale la Arendt, sulla falsa riga degli autori greci tanto amati
(un amore "inoculato" da Heidegger),
riporta al centro dell'esistenza umana la "meraviglia" (il
thaumàzein).
Il 4 dicembre 1975 la grande pensatrice Hannah
Arendt si spegne a causa di un secondo arresto cardiaco, nel
suo appartamento di Riverside Drive a New York.
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