La più grande sconfitta mai subita
dall’esercito italiano
La
disfatta di Caporetto iniziò 100 anni fa con un attacco a sorpresa di austriaci
e tedeschi e finì con una ritirata che durò quasi un mese
All’alba del 24 ottobre 1917 tonnellate di
gas tossici e proiettili di artiglieria iniziarono a cadere sulle linee
avanzate difese dall’esercito italiano, vicino al piccolo paese di Caporetto,
oggi in Slovenia. Nelle ore immediatamente successive migliaia di soldati
austriaci e tedeschi attaccarono nella breccia aperta nello schieramento
italiano. Dopo una giornata di combattimenti, i generali italiani ordinarono
alle loro truppe di ripiegare. La ritirata si sarebbe fermata soltanto quattro
settimane dopo, sulla famosa linea del Piave. Quarantamila soldati italiani
furono uccisi o feriti e altri 365 mila furono fatti prigionieri. Un secolo
dopo, la battaglia è considerata una delle più grandi disfatte inflitte
all’esercito italiano, tanto che il suo nome è diventato sinonimo di
“sconfitta” nel linguaggio comune.
Un po’ di contesto
La battaglia di Caporetto si svolse durante la Prima guerra mondiale e vide
scontrarsi l’esercito italiano e quello dell’Austria-Ungheria e dei suoi
alleati dell’Impero Germanico. L’Italia era entrata in guerra due anni
prima,
nel 1915, con l’obiettivo di tornare in possesso delle cosiddette “terre
irredente”, cioè Trento e Trieste, all’epoca città di lingua italiana ma ancora
sottoposte al governo dell’Austria-Ungheria. I principali luoghi di scontro
furono le valli e le montagne dell’Altopiano di Asiago, nel Veneto
settentrionale, e soprattutto dell’altopiano del Carso, al confine tra
l’odierna Slovenia e il Friuli Venezia Giulia, lungo il fiume Isonzo. Per
questo Caporetto è chiamata anche “Dodicesima battaglia dell’Isonzo”.
Dodici battaglie dell’Isonzo,
davvero?
Sì. Prima di Caporetto ci furono altre undici battaglie, tutte combattute nella
stessa zona e tutte con una dinamica e un obiettivo simile: sfondare la linea
nemica e costringere gli austriaci a ritirarsi. I generali italiani le
provarono tutte: grandi attacchi, piccoli attacchi, attacchi preceduti da
lunghi bombardamenti, attacchi a sorpresa, attacchi di giorno e attacchi di
notte. L’esercito italiano, guidato dal generale Luigi Cadorna, andò avanti
così per 2 anni, cinque mesi e 4 giorni. In alcuni casi riuscì a conquistare
parecchio terreno, in altri l’attacco fallì completamente. In ogni caso, le perdite
furono sempre altissime e il fronte austriaco non venne mai sfondato.
Quasi tutti i generali delle
nazioni belligeranti non fecero una gran figura durante la Prima guerra
mondiale e quelli italiani non fecero eccezione. Il loro problema era che
tutti, senza eccezione, avevano ricevuto una formazione militare secondo i
canoni della fine dell’Ottocento, quando ancora non erano chiare cose come il
devastante potenziale raggiunto dall’artiglieria moderna, l’efficacia delle
mitragliatrici e di altri accorgimenti apparentemente banali, come le trincee e
il filo spinato. Tutti i generali dei paesi belligeranti furono costretti a
imparare sul campo la realtà della nuova guerra e a trovare, sperimentando e
sbagliando, il modo migliore di combatterla. Ogni esperimento fallito, però,
costava migliaia di vite umane.
La battaglia di Caporetto
Nell’agosto del 1917 l’Impero Austro-Ungarico sembrava a un passo dalla
sconfitta. Il suo esercito si era dimostrato inadeguato alla guerra moderna e
sui fronti serbo, polacco e ucraino aveva subito una lunga serie di sconfitte.
C’era aria di rivoluzione e l’antica monarchia degli Asburgo sembrava più
incerta che mai. Solo il fronte italiano sembrava reggere, ma era questione di
tempo prima che i testardi assalti del generale Cadorna riuscissero a penetrare
anche da quella parte. La Germania non poteva permettersi di perdere il suo
alleato e così decise che bisognava cercare di togliere di mezzo l’Italia con
un colpo a sorpresa. Sei divisioni tedesche furono segretamente inviate sul
fronte, mentre gas tossici e munizioni di artiglieria vennero ammassati dietro
la linea del fronte.
Dopo essere stato rimandato per
alcuni giorni a causa del maltempo, l’attacco cominciò la mattina del 24
ottobre. Prima venne lanciato il gas tossico. Gli italiani, che avevano
maschere antigas con filtri che potevano durare al massimo un paio d’ore,
evacuarono in fretta le trincee avanzate. Poco dopo arrivò l’artiglieria, che
spazzò via i reticoli di filo spinato e costrinse i difensori rimasti sul posto
a nascondersi nei rifugi sotterranei o abbandonare il fronte. Il terzo elemento
dell’attacco furono i reparti di fanteria d’assalto tedeschi: piccoli reparti
armati di mitragliatrici, bombe a mano e lanciafiamme che avevano il compito di
infiltrarsi nelle trincee nemiche, conquistarle e difenderle fino all’arrivo
del grosso delle truppe (uno di questi reparti era comandato da un ufficiale
destinato a diventare molto famoso nel conflitto successivo, Erwin Rommel).
La combinazione si rivelò
tremendamente efficace. Quando gli austro-tedeschi avanzarono nelle valli
vicino a Caporetto non incontrarono resistenza, mentre i reparti d’assalto
riuscirono facilmente a conquistare le posizioni sulle alture circostanti.
Altri attacchi furono respinti, ma quello principale ebbe un tale successo da
mettere in pericolo l’intera linea italiana. Il comandante locale chiese il
permesso di ritirare le sue truppe, che rischiavano di essere attaccate alle
spalle dagli austriaci, ma Cadorna glielo proibì per diverse ore. A sera, però,
anche lui dovette arrendersi: la situazione era compromessa e fu ordinata la
ritirata generale.
Le conseguenze
Caporetto è stata definita da numerosi storici militari la più grande sconfitta
mai subita da un esercito italiano. La ritirata dopo la battaglia durò dal 24
ottobre fino al 19 novembre. Ci furono numerosi episodi di disordine e panico,
con soldati che gettavano le armi e si arrendevano spontaneamente agli
austriaci. Carabinieri e ufficiali furono spesso costretti a usare le armi per
riportarli alla disciplina. Alcuni reparti, però, continuarono a combattere in
maniera accanita. Cadorna fu in grado di creare una linea temporanea sul fiume
Tagliamento, prima di ritirarsi ancora più a occidente. Austriaci e tedeschi
non ebbero la forza di completare la loro vittoria distruggendo completamente
l’esercito italiano, che alla fine riuscì a stabilirsi sul fiume Piave,
costruendo una linea difensiva che gli austriaci non sarebbero mai riusciti a
sfondare. Quando a novembre la situazione si fu stabilizzata, Cadorna fu
cacciato dal suo comando e sostituito con il generale Armando Diaz, che avrebbe
guidato l’esercito italiano fino alla vittoria finale, nel novembre del 1918.
https://www.ilpost.it/2017/10/24/disfatta-caporetto-italia/
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