È bello morire per ciò
in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una
volta sola.
(Paolo Borsellino)
Paolo Emanuele
Borsellino (Palermo, 19
gennaio 1940 – Palermo, 19
luglio 1992) è stato un magistrato italiano. Fu
assassinato da Cosa Nostra con alcuni uomini della sua scorta
nella strage
di via d'Amelio.
Infanzia e adolescenza
Secondogenito di Diego Borsellino (1910
- 1962) e di Maria Pia Lepanto (1910 - 1997), Paolo Borsellino nacque a Palermo
nel quartiere popolare de La Kalsa, lo stesso in cui visse anche Giovanni Falcone, che conobbe la prima volta durante una partita di calcio all'oratorio a
tredici anni. Aveva due sorelle (Adele, di due anni più grande, e Rita, di cinque anni più piccola) e un fratello (Salvatore, nato nel 1942).
Finite le scuole dell'obbligo, si
iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli", dove divenne anche
direttore del giornalino studentesco "Agorà". L'11 settembre 1958 si
iscrisse a Giurisprudenza a Palermo, numero di matricola 2301. L'anno dopo si
sarebbe iscritto al Fronte Universitario d'Azione Nazionale (FUAN),
l'organizzazione degli universitari del Movimento Sociale Italiano, di cui
divenne membro dell'esecutivo provinciale e di cui divenne anche rappresentante
universitario con la lista "Fanalino" di Palermo.
Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino
si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione
delittuosa", relatore il professor Giovanni Musotto. Pochi giorni
dopo, a causa di una malattia, il padre farmacista morì all'età di cinquantadue
anni.
In magistratura
Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso
per entrare in magistratura, arrivando 25° sui 171 posti disponibili e
diventando il più giovane magistrato d'Italia. Iniziò quindi il tirocinio come
uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965, quando venne assegnato al tribunale di
Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo.
Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto (1941 - 2013), figlia di Angelo Piraino Leto
(1909 - 1994), presidente del tribunale di Palermo. La coppia ebbe tre figli:
Lucia (nata nel 1969), Manfredi (nato nel 1972) e Fiammetta (nata nel 1973).
Nel 1969 divenne pretore a Monreale, dove
cominciò a lavorare con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso
l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo e si distinse con il capitano
Basile nel 1980 per aver continuato l'indagine sui
rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Mille iniziata dal
commissario Boris Giuliano, ucciso pochi mesi prima nel 1979. Il rapporto tra il giovane Paolo e
Rocco Chinnici, allora capo dell'ufficio istruzione, divenne nel frattempo, per
usare le parole della sorella Rita e della figlia del capo Ufficio Caterina, di
"adozione", non solo professionale. Nello stesso anno Cosa Nostra
eliminava il 4 maggio il capitano
Basile e a Borsellino fu assegnata la scorta.
Il Pool Antimafia e il Maxiprocesso di Palermo
Il 29 luglio 1983 Rocco Chinnici fu ucciso da
un'autobomba, insieme ai due agenti di scorta e al portiere del suo condominio;
l'idea del Pool antimafia, il gruppo di giudici istruttori specializzati in
reati di stampo mafioso, lo aveva reso pericoloso, ma per fortuna fu messa in
pratica dal suo successore, Antonino Caponnetto, che lo costituì facendovi entrare, oltre a
Borsellino e Falcone, anche Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta.
Lo scopo del Pool era condividere le
informazioni e la conoscenza del fenomeno mafioso tra più persone, coordinando
le indagini e rendendo più efficace l'azione giudiziaria, che da quel momento
si sarebbe basata su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti delle
forze dell'ordine e nuovi procedimenti penali, che costituirono la mole
probatoria che avrebbe portato al Maxiprocesso. Mentre Borsellino lavorava a stretto gomito con Di Lello, un anno dopo la
morte di Chinnici Falcone otteneva dal primo grande pentito, Tommaso Buscetta, le dichiarazioni che avrebbero permesso il 29 settembre 1984 di spiccare i primi 366 ordini di
cattura, ai quali se ne aggiunsero altri 127 grazie alle dichiarazioni del
pentito Salvatore Contorno.
Nell'estate del 1985, Falcone e Borsellino furono costretti
a trasferirsi con le rispettive famiglie nella foresteria del super-carcere
dell'Asinara, dove scrissero l'ordinanza-sentenza di 8mila pagine che rinviava
a giudizio 476 indagati il 10 febbraio 1986, giorno in cui si aprì ufficialmente il
Maxiprocesso che portava alla sbarra per la prima volta Cosa Nostra. In seguito
fu proprio Borsellino a rendere noto che ai due magistrati fu fatto pagare il
proprio soggiorno nell'isola dall'amministrazione penitenziaria, di cui
conservò le ricevute come prova.
Procuratore a Marsala e la polemica sui Professionisti dell'Antimafia
Il 19
dicembre 1986 Borsellino
chiese ed ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala.
Il fatto che la sua nomina non avesse seguito il canonico criterio
dell'anzianità di servizio, portò Leonardo Sciascia a innescare sul
Corriere della Sera del 10
gennaio 1987 la famosa
polemica sui Professionisti
dell'Antimafia. Lo scrittore siciliano polemizzava sul fatto che, a suo dire, l'antimafia
fosse usata da alcuni magistrati come Borsellino come strumento per fare
carriera in magistratura.
Subito dopo la sentenza di primo grado
del Maxiprocesso (emessa il 16
novembre 1987), Antonino Caponnetto
lasciò la guida dell'Ufficio Istruzione di Palermo per motivi di salute: invece
di nominare Falcone, come richiesto dal capo ufficio uscente, il CSM nominò
Antonino Meli, un magistrato a due anni dalla pensione che non aveva alcuna
esperienza in materia di processi di mafia. Borsellino reagì con due interviste
rilasciate il 20
luglio 1988 a la Repubblica
ed a L'Unità: riferendosi al CSM, dichiarò: "si doveva nominare Falcone
per garantire la continuità all'Ufficio", "hanno disfatto il
pool antimafia", "hanno tolto a Falcone le grandi inchieste",
"la squadra mobile non esiste più", "stiamo tornando
indietro, come 10 o 20 anni fa". Per queste dichiarazioni rischiò un
provvedimento disciplinare e solo a seguito di un intervento del Presidente
della Repubblica Francesco Cossiga vennero predisposti accertamenti da parte
del ministero per capire cosa stesse succedendo nel Palazzo di Giustizia di
Palermo.
Nel frattempo Falcone, bocciato anche
nell'elezione al CSM, accettava l'offerta di dirigere gli Affari penali del
ministero di Grazia e Giustizia, da dove portò avanti la sua battaglia ideando,
tra le altre cose, anche la DNA, la Superprocura antimafia, contro cui si
espresse criticamente anche Borsellino.
Nel mirino di Cosa Nostra e il ritorno a Palermo
Secondo la testimonianza del
pentito Vincenzo Calcara, nel settembre
del 1991 Cosa Nostra
stava per mettere a punto l'eliminazione di Borsellino con un'autobomba.
Fu Francesco
Messina Denaro a incaricare proprio Calcara, che però venne arrestato il 5
novembre e decise di pentirsi per salvare la pelle. Incontrando Borsellino,
disse al magistrato: "Lei deve sapere che io ero ben felice di
ammazzarla", ma al tempo stesso gli chiese anche di poterlo
abbracciare. Al riguardo Borsellino avrebbe commentato dopo: "Nella mia
vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse".
Nel 2012 il colonnello Umberto Sinico, in qualità di testimone al processo
contro il Generale Mario
Mori, riferì che Borsellino era consapevole dei rischi che correva, ma decise
spontaneamente di allentare la protezione attorno a sé per evitare che colpissero
la sua famiglia
Nel marzo 1992 Borsellino
ritornò a Palermo come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.
La penultima intervista su Dell'Utri
Il 21
maggio 1992 Paolo Borsellino rilasciò un'intervista ai giornalisti di Canal+
Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, mandata in onda solamente da RaiNews24
in versione ridotta per la prima volta il 19
settembre 2000. In quest'intervista
il giudice parlò anche dei rapporti tra Cosa Nostra e l'imprenditoria milanese,
accennando a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.
Alla domanda se Mangano fosse un
"pesce pilota" della mafia al Nord, Borsellino rispose che egli era
sicuramente una testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord d'Italia,
ma sui rapporti con Silvio Berlusconi invece, benché
esplicitamente sollecitato dall'intervistatore, si astenne da qualsiasi
giudizio.
Le polemiche suscitate dalla messa in
onda dell'intervista si fecero più intense quando si scoprì che il video trasmesso
da RaiNews24 non era una semplice versione ridotta (33 minuti contro i 55
dell'originale), ma era stata manipolata: alcune risposte erano state tagliate
e messe su altre domande. La famosa risposta del "cavallo in albergo"
non si riferiva a un'intercettazione che riguardava Mangano e Dell'Utri, ma tra
Mangano e un altro mafioso della famiglia Inzerillo.
Dopo la morte di Giovanni Falcone,
Borsellino si gettò a capofitto nelle indagini per scoprire la verità sulla
strage di Capaci. Alle voci insistenti di una sua nomina a Procuratore
Nazionale Antimafia, al posto dell'amico e collega, seguì una proposta
ufficiale degli allora ministri dell'Interno e della Giustizia, Vincenzo
Scotti e Claudio
Martelli: a seguito di una domanda dal pubblico durante la presentazione del libro
di Pino
Arlacchi, Gli
Uomini del Disonore, a cui i due presero parte insieme al capo della polizia Vincenzo
Parisi e a Borsellino stesso, nonostante il suo esplicito rifiuto, i
ministri annunciarono che avrebbero chiesto al CSM di riaprire il concorso per
permettergli di partecipare.
Borsellino non replicò direttamente in
quella sede, ma rispose al ministro per iscritto qualche giorno dopo,
affermando che: "la scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso
destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti
comunque riconducibili a tale luttuoso evento".
La sera del 25 giugno, la rivista
Micromega organizzò a Palermo, nell'atrio della settecentesca Biblioteca
comunale, la presentazione di un fascicolo interamente dedicato al fenomeno
mafioso, alla presenza del sindaco Orlando, Tano
Grasso, Pina
Grassi, Nando dalla Chiesa e Alfredo
Galasso. Borsellino, la cui presenza era stata annunciata ma non era scontata,
arrivò più tardi, scusandosi per gli impegni di lavoro. Nella sua ultima uscita
pubblica, il magistrato esordì ricordando a se stesso e ai duemila palermitani
venuti ad ascoltarlo che la toga che indossava non gli permetteva di rivelare i
particolari e le circostanze dell'indagine che stava conducendo alla ricerca
della verità sulla Strage di Capaci, anche perché ricopriva il ruolo di
testimone e ne avrebbe prima riferito al titolare delle indagini, il
procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore Celesti.
Poi passò all'attacco, sostenendo che
Falcone aveva cominciato a morire nel gennaio 1988, quando il CSM gli aveva
preferito Antonino Meli come successore di Antonino Caponnetto. Rincarando la
dose, affermò che: "Con questo non voglio dire che la strage sia il
naturale epilogo di questo processo di morte. Anche se oggi tutti ci rendiamo
conto che lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro,
cominciò a farlo morire quel giorno. Forse ancora prima, in quella data
ricordata da Orlando, con quell'articolo di Leonardo Sciascia sui
"professionisti dell'antimafia" pubblicato sul Corriere della Sera.
Infine, indicò nella concreta
possibilità che Falcone diventasse procuratore nazionale antimafia la causa del
suo omicidio: il suo amico e collega venne ammazzato perché faceva paura.
La morte e i funerali
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini
con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò
insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre. Alle 16:58.
una Fiat 126 imbottita di tritolo che era parcheggiata sotto l'abitazione della
madre esplose non appena Borsellino suonò il citofono: stando alle parole
di Totò Riina, intercettato nel carcere di Opera nel marzo
2014, fu proprio Borsellino ad azionare la bomba, nell'atto di citofonare alla
madre[2]. Insieme
a lui morirono i cinque agenti della scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato
caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu
l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento
della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Ai funerali privati, tenutisi il 24 luglio,
parteciparono oltre 10mila persone. La famiglia rifiutò i funerali di Stato e
la celebrazione si svolse nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, dove
il giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa.
L'orazione funebre fu pronunciata da Antonino Caponnetto. Pochi i politici
presenti, tra cui il presidente della Repubblica Scalfaro, che aveva rischiato
il linciaggio ai funerali degli agenti della scorta, nonostante i 4mila agenti
chiamati a mantenere l'ordine, con una folla inferocita che gridava "FUORI
LA MAFIA DALLO STATO".
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