Il 14 febbraio di 15 anni fa a Rimini la
scomparsa del grande ciclista. È ancora vivo il ricordo di quando si
alzava sui pedali e faceva emozionare con le sue vittorie
di ANGELO COSTA
Marco Pantani è lì,
nel cimitero della sua Cesenatico, da quindici anni, da quando un sabato sera venne trovato
senza vita in un residence di Rimini dove era morto da solo, portando con sé il
rimpianto per una vita che poteva essere diversa e anche qualche dubbio di troppo.
Ma Pantani è anche là, nelle piazze e nelle strade che gli vengono intitolate,
nei monumenti eretti sulle montagne che alle sue imprese sportive devono la
loro fama, negli striscioni del Giro d’Italia, forse più numerosi per il
campione della Romagna che non per i protagonisti attuali del ciclismo.
San Valentino dovrebbe essere il
giorno degli innamorati, ma per chi ha amato Pantani è
anche un giorno velato di tristezza: un giorno come tanti, perché il ciclista
più amato e controverso degli ultimi trent’anni non viene ricordato soltanto
nella ricorrenza della scomparsa, ma soprattutto per ciò che ha fatto in sella
ad una bici. Ed è questo il Marco che piaceva alla gente e che la gente
continua a ricordare , non certo quello raccontato nelle aule giudiziarie
dai processi costruiti intorno alla sua tragica fine: quando ha chiuso la sua
vita spericolata a 34 anni, avrebbe meritato pace e non tutto il clamore che
l’ha accompagnato
Quindici anni senza Marco: sembra
una vita fa, ma è come se non fossero passati. Perché il ricordo è vivo, e non
è un modo di dire: basta il nome di una montagna, la località di un arrivo, un
amatore con una vecchia maglia della Mercatone Uno per sfogliare un album dei
ricordi che non si è mai chiuso. Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia,
perché sono quotidiani: basti dire che chi guidava l’ambulanza sulla quale
Nibali ha finito l’ultimo Tour dopo una caduta all’alpe d’Huez, guarda caso uno
dei luoghi consacrati al Panta, al solo sentir citare il nome del campione
romagnolo ha esibito ai cronisti italiani tatuaggi, cover del cellulare e
orecchino dedicati al suo vecchio idolo. «Sono stato a Cesenatico a visitare il
museo con le sue maglie e le sue bici, ho conosciuto papà Paolo e mamma Tonina
che quotidianamente lo aprono ai visitatori», ha aggiunto: e sul volto aveva la
fierezza di chi stava parlando non di un ciclista come gli altri, ma di un vero
e proprio mito.
Non si esagera: negli anni Novanta, un Paese intero ha avuto in
Pantani il suo Coppi. O un altro Tomba, uno dei campioni
che a Marco è stato più vicino: tutti atleti capaci di fermare l’Italia quando
entravano in gara, perché il romagnolo in bici, come il bolognese nello sci,
quasi mai tradivano. Una messa domani alle 20,30, sul porto canale a Cesenatico
dove quindici anni fa una marea di gente gli rese l’ultimo saluto, una strada a
Casalgrande, nel Reggiano, sabato mattina. A seguire l’intitolazione di piazza
Marconi che già ospita il monumento realizzato dalla judoka Pierantozzi: ecco le
prossime tappe di una corsa che, in realtà, è molto più quotidiana. Vi
partecipano tutti coloro che allo scalatore venuto dal mare continuano a voler
bene: un popolo per il quale Pantani è morto il 14 febbraio, ma tutti gli altri
giorni dell’anno è vivo.-https://www.ilrestodelcarlino.it/cesena/cronaca/marco-pantani-morte-1.4440878
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