La
loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per
sempre nell’attenzione verso gli ultimi e gli emarginati. Don Gallo, il
prete di strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per
l’impegno verso le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei
dimenticati e Fabrizio De André, hanno condiviso tra le vie di Genova il
racconto del mondo.
Lo
hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L’uno attraverso il Vangelo,
l’altro attraverso la musica.
Ecco
come il Prete da marciappiede salutò l’amico Faber:
Caro Faber. Per Fabrizio De André
di don Andrea Gallo, Genova, 14
gennaio 1999
Caro
Faber,
da
tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai
perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti
«Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella
mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso
il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a
distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più
oscuri, nell’esclusione.
E
ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce
niente, dal letame nascono i fior».
La
tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo
riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello
spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E
soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro
Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi,
restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La
Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo
il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi
derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti
traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il
tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e
dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue
parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può
seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu
rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella
stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È
vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia
Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro
Faber, grazie!
Ti
abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci
sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi.
Grazie.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Caro
Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il
dubbio che Dio esista.
Grazie.
Le
ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,
prete da marciapiede.
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