Nel libro di Jules Verne Viaggio al
centro della Terra, il professor Otto Lidenbrock trascina il nipote nel cratere
di un vulcano verso il cuore del pianeta. L’equipaggio della nave di
perforazione Joides Resolution non si spingerà così a fondo ma potrebbe essere
il primo a oltrepassare il confine tra crosta e mantello terrestri. E’ questo
infatti l’obiettivo della spedizione Southwest Indian Ridge Lower Crust and Maho coordinata dall’International Ocean
Discovery Program, cui partecipano 24 scienziati di 13 Paesi, Italia compresa.
“Un tentativo di raggiungere il confine tra crosta e mantello, la discontinuità
di Moho, è stato già fatto nel Pacifico nel 2011, ma per problemi tecnici non è
riuscito” ci dice il geologo dell’Università di Pavia Riccardo Tribuzio, uno
dei due italiani in missione (l’altro, Alessio Sanfiippo, viene dalla Kanazawa
University, Giappone). La discontinuità si trova tra i 30 3 i 50 chilometri di
profondità, ma ci sono zone in cui la crosta appare più sottile. “Abbiamo
individuato un settore della dorsale dell’Oceano Indiano, l’Atlantic Bank, al
largo del Madagascar, dove grazie alla presenza di “montagne sottomarine” la
colonna d’acqua al di sopra della crosta di “soli” 700 metri. Inoltre qui lo
spessore della crosta dovrebbe essere “soltanto” di sei chilometri”. La
missione prevede una prima parte, che, a fine gennaio, dovrebbe portare i
ricercatori a 1,5 chilometri di profondità, per un costo di circa 39 milioni di
dollari finanziati da un consorzio di 25 Paesi. Per le altre due missioni
previste, che dovrebbero appunto raggiungere la discontinuità di Moho,
serviranno almeno altri cinque anni, l’uso della Chikyu, la più potente nave da
perforazione giapponese, e molti altri soldi. “ Ma se riusciremo a raggiungere
la “transazione” potremo investigarla per la prima volta con metodi diretti”
spiega Tribuzio. Finora gli scienziati hanno elaborato modelli geologici in
base a misurazione delle onde sismiche: c’è un punto in cui cambia
repentinamente e qui è stato fissato il confine tra crosta e mantello, in
corrispondenza del passaggio tra rocce più superficiali, che avrebbero
interagito con l’acqua filtrata dalla crosta suboceanica (serpentiniti), e
altre più in profondità, dove l’acqua non è arrivata. L’unica possibilità di
provare quest’ipotesi è prelevare campioni nella zona dove cambia la velocità
delle onde e vedere se sono serpentiniti. Se così fosse, dovremmo ripensare i
modelli geologici e se queste rocce contenessero com’è possibile, dei
microrganismi dovremmo anche rivedere il limite inferiore della vita (oggi
fissato a circa 2,5 chilometri), e spostarlo molto più giù.
Martina Saporiti – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 24
dicembre 2015 -
Nessun commento:
Posta un commento