“Questa non è una jungle, questo è l’inferno”. Ci
accoglie così comunque sorridente, uno degli amici siriani di Osama. Anche
Osama è siriano, ha trent’anni, vive da tre mesi nella jungle di Calais e non
si ricorda quante volte ha già provato, invano, a raggiungere l’Inghilterra
(una volta anche a nuoto, per salire sulla nave che partiva dal porto, ma ha
rinunciato quando un suo amico si è sentito male in acqua). Osama ha mandato
tre suoi amici verso Dunkerque, in avanscoperta nella jungle meno conosciuta,
quella “emergente” di Grande Synthe (da qui si tenta l’avventura inglese
pagando trafficanti o entrando di nascosto di notte nei camion parcheggiati).
Quando li raggiungiamo, i suoi amici sono piuttosto contrariati e per capirne
le ragioni non serve resoconto ma un paio di stivali, che il fango di qua non è
il fango di Calais e un paio di scarpe, per quanto equipaggiate di buste ai
piedi come quelle indossate da Osama a Calais, non è sufficiente. Vestiti come
per l’eccezionalità dell’alluvione di Benevento, ci addentriamo nella normalità
delle tende montate nella melma, tra uomini, donne e centinaia di bambini che
sopravvivono a freddo, umidità e condizioni igienico sanitarie proibitive.
privi dei servizi necessari per un campo che cresce ogni giorno di più (32
bagni per 2500 persone). Già ora non ci sono tende per tutti, e da pochi
giorni, per “motivi di sicurezza”, non ne possono entrare più (così ha
stabilito la Prefettura). Le organizzazioni umanitarie presenti non riescono
più di tanto a far fronte alle emergenze. Il container di Medici senza
Frontiere ha la fila di pazienti febbricitanti all’ingresso. I pochi punti di
distribuzione di vivere e vestiti sono presi d’assalto. La “scuola”, spazio
ricreativo per bambini, è circondata dall’acqua. I bambini comunque giocano, a
prescindere, già in viaggio da chissà quanto. Per loro vivere così è la norma.
Non deve pertanto stupire vederli ridere e rotolarsi davanti ai pochi bagni
chimici presenti. “Preferisco questo posto alla jungle di Calais. Si vive
peggio, ma è più tranquillo, non ci sono scontri con la polizia” dice Ahmad,
curdo, che parla italiano grazie a un anno passato a Crotone. Penso alla notte
precedente, passata nella Jungle di Calais, tra i lacrimogeni della polizia
tirati tra le tende durante la guerriglia con la comunità curda presa di mira
dai militanti del Front National. In Europa, per chi scappa dalla guerra, anche
scegliere dove accamparsi è diventata una guerra.
Diego Bianchi
– Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica – 22 gennaio 2016
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