La nomina di Carlo Calenda ad
ambasciatore di Bruxelles segna un cambio di fase nella vita del governo Renzi.
Per ritrovare un politico di professione, un vice-ministro in carica,
catapultato direttamente nella carriera diplomatica bisogna risalire all’alba
della Repubblica, quando però gli ambasciatori-politici si chiamavano Giuseppe
Saragat, futuro presidente della Repubblica, Manlio Brosio, Nicolò Carandini.
Nel caso di Calenda si tratta piuttosto di umiliare la rete diplomatica della
Farnesina, considerata in blocco inadeguata per affrontare la sfida che Renzi
considera prioritaria nel suo 2016 (accanto alla partita elettorale sul
referendum che dovrà dire sì o no alla nuova Costituzione), contare di più in
Europa, al tavolo dei capi dell’Unione. Bisogna tornare al crepuscolo
berlusconiano per ritrovare una distanza così profonda tra Roma e Bruxelles e
toni così ruvidi. Con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker,
politico di lungo corso e perfido come tutti i democristiani, che ha affilato
la lama: “A Roma non abbiamo interlocutori”. E il ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni costretto a ribadire l’ovvio: “L’interlocutore è il governo
italiano”. Una linea di scontro e senza alleati che in Italia preoccupa anche
alcuni decisi sostenitori dell’operato del governo Renzi, da Giorgio Napolitano
a Walter Veltroni. Ma che agli occhi del premier presenta il vantaggio di
offrire all’elettorato un’utile distrazione dai problemi nazionali. La vicenda
della Banca Etruria, con il suo infittirsi quotidiano di personaggi e episodi
sempre più imbarazzanti per i componenti del giglio magico al governo: lo strapaese
che vuole conquistare la stracittà, per dirla con l’acuto ex ministro
socialista Rino Formica. Ma lo strapaese toscano si muove su un terreno
scivoloso, dove le ingenuità o gli eccessi di sicurezza si prestano a cadere
nelle trappole degli antichi esperi di messaggi cifrati e di ricatti, mai
rottamati, loro sì. E ci sono gli altri fronti su cui il premier decisionista
improvvisamente si mostra esitante. Sulla legge sulle unioni civili una certa
superficialità nell’affrontare le questioni più delicate, dall’equiparazione
delle unioni al matrimonio alla disciplina delle adozioni per le coppie
omosessuali, ha finito per spaccare il Pd per la prima volta non tra la nuova
maggioranza renziana e la vecchia minoranza di Bersani, schema collaudato e
vincente per Renzi sul Jobs Act o sulla riforma della Costituzione. Questa
volta la linea di frattura passa dentro i renziani della prima ora, i
renzianissimi. E qualche ministro (il finora innocuo centrista Gian Luca
Galletti) annuncia che manifesterà contro la legge nella piazza cattolica del
Family Day, come avveniva ai tempi dell’Unione di Romano Prodi. Paragone
indigesto per Renzi. Ma che rende l’idea del momento
Marco Damilano – Relazioni pericolose – L’Espresso – 28
gennaio 2016 -
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