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domenica 31 gennaio 2016

Lo Sapevate Che: Se il decisionismo gira a vuoto...



La nomina di Carlo Calenda ad ambasciatore di Bruxelles segna un cambio di fase nella vita del governo Renzi. Per ritrovare un politico di professione, un vice-ministro in carica, catapultato direttamente nella carriera diplomatica bisogna risalire all’alba della Repubblica, quando però gli ambasciatori-politici si chiamavano Giuseppe Saragat, futuro presidente della Repubblica, Manlio Brosio, Nicolò Carandini. Nel caso di Calenda si tratta piuttosto di umiliare la rete diplomatica della Farnesina, considerata in blocco inadeguata per affrontare la sfida che Renzi considera prioritaria nel suo 2016 (accanto alla partita elettorale sul referendum che dovrà dire sì o no alla nuova Costituzione), contare di più in Europa, al tavolo dei capi dell’Unione. Bisogna tornare al crepuscolo berlusconiano per ritrovare una distanza così profonda tra Roma e Bruxelles e toni così ruvidi. Con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, politico di lungo corso e perfido come tutti i democristiani, che ha affilato la lama: “A Roma non abbiamo interlocutori”. E il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni costretto a ribadire l’ovvio: “L’interlocutore è il governo italiano”. Una linea di scontro e senza alleati che in Italia preoccupa anche alcuni decisi sostenitori dell’operato del governo Renzi, da Giorgio Napolitano a Walter Veltroni. Ma che agli occhi del premier presenta il vantaggio di offrire all’elettorato un’utile distrazione dai problemi nazionali. La vicenda della Banca Etruria, con il suo infittirsi quotidiano di personaggi e episodi sempre più imbarazzanti per i componenti del giglio magico al governo: lo strapaese che vuole conquistare la stracittà, per dirla con l’acuto ex ministro socialista Rino Formica. Ma lo strapaese toscano si muove su un terreno scivoloso, dove le ingenuità o gli eccessi di sicurezza si prestano a cadere nelle trappole degli antichi esperi di messaggi cifrati e di ricatti, mai rottamati, loro sì. E ci sono gli altri fronti su cui il premier decisionista improvvisamente si mostra esitante. Sulla legge sulle unioni civili una certa superficialità nell’affrontare le questioni più delicate, dall’equiparazione delle unioni al matrimonio alla disciplina delle adozioni per le coppie omosessuali, ha finito per spaccare il Pd per la prima volta non tra la nuova maggioranza renziana e la vecchia minoranza di Bersani, schema collaudato e vincente per Renzi sul Jobs Act o sulla riforma della Costituzione. Questa volta la linea di frattura passa dentro i renziani della prima ora, i renzianissimi. E qualche ministro (il finora innocuo centrista Gian Luca Galletti) annuncia che manifesterà contro la legge nella piazza cattolica del Family Day, come avveniva ai tempi dell’Unione di Romano Prodi. Paragone indigesto per Renzi. Ma che rende l’idea del momento
Marco Damilano – Relazioni pericolose – L’Espresso – 28 gennaio 2016 -

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