I problemi veri dell’Italia non li trovi nei talk show,
ma parlando con gli italiani che sono emigrati all’estero. Sono ormai centomila
che espatriano ogni anno, sempre più spesso giovani diplomati e laureati. Una
cifra colossale che continua a non interessare il dibattito pubblico. Un
investimento di due miliardi all’anno che va in fumo, tanto è costato a
Germania, Gran Bretagna, Francia, Svizzera. Un patrimonio inestimabile di
capacità, energia, intelligenza. Perché se ne vanno? Se ne vanno anzitutto da
un Paese ingiusto, il meno meritocratico d’Europa, dove le anti-virtù del
familismo, del clientelismo e del servilismo contano assai più per trovare un
lavoro di quanto pesino talento, onestà e capacità. Disgustati da un sistema
dove un imbecille qualsiasi può ricoprire posti da favola soltanto perché fa
parte di un clan o di un cerchio magico, mentre un genio della ricerca deve
tirare a campare con un mensile miserabile. Se vanno da un Paese che ha perso
troppi treni e bruciato il proprio futuro inseguendo pifferai da quattro soldi
e ricette semplicistiche. Invece di pensare a un nuovo modello di sviluppo.
Siamo la nazione con meno laureati in Europa, il 20 per cento dei giovani,
contro una media del 40, e a quei pochi non riusciamo neppure a trovare
impiego, perché il sistema produttivo è bolso e da decenni si è smesso
d’investire su formazione e innovazione, puntando a ridurre i salari, chiunque
fosse al governo. Oramai il danno è fatto e il gap con le nazioni del Nord
Europa è incompatibile, quindi perché restare? Se ne vanno perché siamo un Paese ucciso dalla Burocrazia
e dalle tasse, che servono sempre di più a pagare gli interessi di un debito
pubblico comunque fuori controllo, a mantenere apparati clientelari e per
progettare grandi opere inutili o mai completate, ma non sono mai servite a ricostruire un welfare moderno, per esempio
a varare una politica della casa per i giovani come nel resto d’Europa. In una
nazione non rimbecillita da vent’anni di stupidario televisivo e non solo, quei
centomila migranti l’anno sarebbero al centro dell’attenzione di tutti, il
principale argomento di discussione
delle classi dirigenti. In Italia, se ne parli ogni tanto, ti dicono che
sei un gufo e ci vuole un po’ più di ottimismo. Andiamo avanti così, diceva un
personaggio di Nanni Moretti.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 15
gennaio 2016 -
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