In un periodo in cui si alzano muri
per separare i popoli, se ne sta innalzando uno, il Great Green Wall, che
servirà invece a farli vivere meglio. Niente filo spinato o cemento, sarà un
muro di vegetazione largo almeno quindici chilometri e lungo oltre quattromila,
che unirà tutti gli undici Paesi del Sahel, dalla Mauritania fino all’Eritrea.
Presentato a Parigi durante la conferenza sul clima come l’”ottava meraviglia
del mondo”, il Ggw dovrebbe alleviare la difficile situazione di chi vive a sud
del Sahara, stretto fra un clima che oscilla ormai fra siccità e alluvioni,
terrorismo e crescita demografica incontrollata. “Il muro è il frutto della
cooperazione di molti organizzazioni, fra cui Unione Africana, Unione Europea,
Banca Mondiale,TerrAfrica e altre Ong”, spiega Paola Agostini, economista della
Banca Mondiale “sono stati raccolti 4 miliardi di dollari per progetti di
ripristino ambientale, il più importante dei quali è appunto la ricrescita di
una fascia verde che ostacoli l’avanzata del deserto”. Sentendo parlare di una
pioggia di fondi in aiuti all’Africa, viene subito il dubbio: non si tratterà
del solito progetto calato dall’alto, che alla fine, dopo corruzione e sprechi,
fallisce e lascia le popolazioni più povere di prima? “La storia degli aiuti
all’Africa è costellata di disastri” ammette Dennis Garrity, agronomo del World
Resource Institute “ma stavolta sarà diverso. (..). “L’albero tipico del Sahel,
l’acacia Faidherbia albida, è una
leguminosa che arricchisce il terreno di azoto e produce foglie ricche di
proteine, i suoi rami rallentano il vento e la sabbia, e forniscono legna,
mentre le radici aiutano la pioggia a penetrare nel suolo” dice Garrity “In
venti anni in Niger sono rinati duecento milioni di alberi su 50mila chilometri
quadri, i raccolti sono aumentati di 500mila tonnellate, migliorando la vita di
2,5 milioni di persone. Progetti simili sono ora in corso in Burkina Faso,
Mali, Senegal, ma i fondi del Ggw forniranno i mezzi, l’educazione e la
consulenza necessari ad accelerare il processo ed estenderlo all’intero Sahel,
comprese, speriamo, le aree piegate dal terrorismo, come quelle intorno al
morente lago Ciad, o dalle guerre, come il Sudan”. Un Sahel più verde
porterebbe benefici non solo ai locali. “La disperazione alimenta la migrazione
verso l’Europa e anche il terrorismo islamista. Se riusciremo ad aumentare
reddito e accesso all’educazione degli agricoltori, ridurremo entrambi i
fenomeni e anche la crescita demografica. Ma i Paesi ricchi devono fermare il
riscaldamento globale, altrimenti nulla potrà” impedire al Sahel di diventare
un deserto e a quelle popolazioni di fuggire altrove conclude Agostini.
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 8
gennaio 2016 -
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