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venerdì 15 gennaio 2016

Lo Sapevate Che: L'Amore liquido in un mondo duro come il cemento...



Tra le sue piacevoli e stimolanti riflessioni, ho avuto modo di cogliere spesso un riferimento alla “vita liquida” teorizzata da Bauman, per effetto della perdita progressiva dei vari punti di riferimento tradizionalmente ritenuti sicuri. Senza scendere in merito a una problematica economica e sociologica, essendo un artista, le vorrei chiedere se nella nostra società, regolata dalla tecnica e dal mercato, possono esistere ancora delle fonti d’ispirazione di natura umana (io amo chiamarle Muse) che siano in grado di stimolare pensieri e dunque oggetti materiali che non si pongono, almeno nell’immediato, nel meccanismo produttivo e utilitaristico. Barattando la libertà personale con la libertà di ruolo, non pensa che oggi, nella prima società di super-comunicazione della storia qual è la nostra, all’uomo rimanga solo l’arte come unico linguaggio in cui reprimere se stesso, nonostante l’omologazione e la speculazione? Le chiedo questo perché sono convinto che ciascuno di noi abbia da qualche parte una propria Musa, capace di ispirarci nel profondo e di venire in soccorso per farci percepire il vero aspetto del reale. Non pensa anche lei che, all’asfissiante razionalità tecnica, che considera d’intralcio ciò che non è funzionale a un risultato da raggiungere con l’impiego di minimi mezzi, si debba rispondere con la riscoperta di quelle figure che ci mostrano, come in uno specchio, non più il nostro grado di carriera bensì le nostre effettive aspirazioni?     Mario Vespasiani info@mariovespasiani.com

Sa, io con Zygmunt Bauman non sono molto d’accordo, perché la società odierna a me non pare assolutamente “liquida”. Anzi, proprio per le considerazioni che lei fa a proposito della razionalità tecnica, mi sembra terribilmente “cementata”. Se Bauman giustifica la sua tesi facendo riferimento alla perdita di valori e dei punti di riferimento tradizionalmente ritenuti sicuri, allora diciamo che queste cose le aveva anticipate Nietzsche un secolo e mezzo fa, là dove parla di nichilismo, da lui così definito:”Manca lo scopo, manca la risposta al perché? Tutti i valori si svalutano”. (..). Ma siccome nessuno più legge i libri dei filosofi e c’è addirittura l’intenzione di togliere la filosofia dalle scuole superiori, basta inventare l’aggettivo “liquido” per far passare come nuova un’indagine sociologica che da tempo, (..), già sa descritto con molta maggior chiarezza e perspicacia. (..). E’ finito il tempo dell’ottimismo con cui il cristianesimo ha segnalato il futuro come salvezza, la scienza come progresso, la rivoluzione come giustizia sulla terra, perché, come diceva Pasolini, la tecnica non tende al “progresso”, qui inteso come miglioramento delle condizioni umane, ma solo a uno sviluppo finalizzato, quindi al suo auto potenziamento, che tutti vogliono perché la tecnica appare come la condizione per realizzare qualsiasi scopo. Quanto all’arte, anch’essa non sfugge alla razionalità tecnica, se è vero che viene riconosciuta come tale solo se entra nel mercato, a sua volta regolato dalla succitata razionalità. (..). Ma lei crede che in una società regolata dalla razionalità tecnica, dove ciascuno deve compiere le azioni descritte e prescritte dall’apparato di appartenenza, per conseguire gli obiettivi prefissati dall’apparato, possa realizzare se stesso e le sue aspirazioni per conseguire così la propria felicità? Come già diceva Max Weber all’inizio del secolo scorso, noi viviamo in una “gabbia d’acciaio”. Infatti, di “liquidi”  è rimasto solo l’amore, oggi coniugano con il nuovo concetto di libertà, purtroppo intesa solo come revocabilità di tutte le scelte.
Umbertogalimberi@repubblica.it  - Donna di Repubblica – 9 gennaio 2016 -

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