Tra le sue piacevoli e
stimolanti riflessioni, ho avuto modo di cogliere spesso un riferimento alla
“vita liquida” teorizzata da Bauman, per effetto della perdita progressiva dei
vari punti di riferimento tradizionalmente ritenuti sicuri. Senza scendere in
merito a una problematica economica e sociologica, essendo un artista, le
vorrei chiedere se nella nostra società, regolata dalla tecnica e dal mercato,
possono esistere ancora delle fonti d’ispirazione di natura umana (io amo
chiamarle Muse) che siano in grado di stimolare pensieri e dunque oggetti
materiali che non si pongono, almeno nell’immediato, nel meccanismo produttivo
e utilitaristico. Barattando la libertà personale con la libertà di ruolo, non
pensa che oggi, nella prima società di super-comunicazione della storia qual è
la nostra, all’uomo rimanga solo l’arte come unico linguaggio in cui reprimere se
stesso, nonostante l’omologazione e la speculazione? Le chiedo questo perché
sono convinto che ciascuno di noi abbia da qualche parte una propria Musa,
capace di ispirarci nel profondo e di venire in soccorso per farci percepire il
vero aspetto del reale. Non pensa anche lei che, all’asfissiante razionalità
tecnica, che considera d’intralcio ciò che non è funzionale a un risultato da
raggiungere con l’impiego di minimi mezzi, si debba rispondere con la
riscoperta di quelle figure che ci mostrano, come in uno specchio, non più il
nostro grado di carriera bensì le nostre effettive aspirazioni? Mario Vespasiani info@mariovespasiani.com
Sa, io con Zygmunt Bauman non sono
molto d’accordo, perché la società odierna a me non pare assolutamente
“liquida”. Anzi, proprio per le considerazioni che lei fa a proposito della
razionalità tecnica, mi sembra terribilmente “cementata”. Se Bauman giustifica
la sua tesi facendo riferimento alla perdita di valori e dei punti di
riferimento tradizionalmente ritenuti sicuri, allora diciamo che queste cose le
aveva anticipate Nietzsche un secolo e mezzo fa, là dove parla di nichilismo,
da lui così definito:”Manca lo scopo, manca la risposta al perché? Tutti i
valori si svalutano”. (..). Ma siccome nessuno più legge i libri dei filosofi e
c’è addirittura l’intenzione di togliere la filosofia dalle scuole superiori,
basta inventare l’aggettivo “liquido” per far passare come nuova un’indagine
sociologica che da tempo, (..), già sa descritto con molta maggior chiarezza e
perspicacia. (..). E’ finito il tempo dell’ottimismo con cui il cristianesimo
ha segnalato il futuro come salvezza, la scienza come progresso, la rivoluzione
come giustizia sulla terra, perché, come diceva Pasolini, la tecnica non tende
al “progresso”, qui inteso come miglioramento delle condizioni umane, ma solo a
uno sviluppo finalizzato, quindi al suo auto potenziamento, che tutti vogliono
perché la tecnica appare come la condizione per realizzare qualsiasi scopo.
Quanto all’arte, anch’essa non sfugge alla razionalità tecnica, se è vero che
viene riconosciuta come tale solo se entra nel mercato, a sua volta regolato
dalla succitata razionalità. (..). Ma lei crede che in una società regolata
dalla razionalità tecnica, dove ciascuno deve compiere le azioni descritte e
prescritte dall’apparato di appartenenza, per conseguire gli obiettivi
prefissati dall’apparato, possa realizzare se stesso e le sue aspirazioni per
conseguire così la propria felicità? Come già diceva Max Weber all’inizio del
secolo scorso, noi viviamo in una “gabbia d’acciaio”. Infatti, di “liquidi” è rimasto solo l’amore, oggi coniugano con il
nuovo concetto di libertà, purtroppo intesa solo come revocabilità di tutte le
scelte.
Umbertogalimberi@repubblica.it - Donna di Repubblica – 9 gennaio 2016 -
Nessun commento:
Posta un commento