In Un’Intervista pubblicata lunedì scorso da
“Repubblica” Jane Goodal, etologa studiosa di scimmie e in particolare degli
scimpanzé, ha tracciato un quadro di quegli animali con i quali, stando alla
teoria dell’evoluzione, la nostra specie sarebbe parente, avendo un progenitore
comune. Secondo la Goodal gli scimpanzé hanno dei tratti che in alcuni aspetti
sono assai somiglianti ai nostri. Quell’etologa li ha molto frequentati e
continua a studiarli, ma fin d’ora ne ha già verificato molti aspetti: per
esempio la tenerezza, il senso della protezione, la difesa della propria
famiglia ed anche il desiderio di far conoscenza anche con persone di altre
specie che dedichino a loro una parte del proprio tempo. Hanno anche il senso
dell’ira e della vendetta se si sentono maltrattati o infastiditi da esprimenti
che l’estraneo tenta di fare su di loro. Talvolta quegli esperimenti soddisfano
il loro senso di conoscenza ma talaltra si sentono trattati come cavie e questo
non lo accettano e reagiscono duramente. La Goodal racconta che uno scimpanzé,
stanco d’essere studiato in modi per lui fastidiosi, reagì rompendole la
falange di un dito della mano. Ma – dice l’etologa – gli scimpanzé non hanno
mai ucciso nessuno né della propria specie né di altre, a meno che non sino
aggrediti in modo tale da fare altrettanto a propria difesa. (..). C’è un punto
però leggendo un passo di quell’intervista che mi ha fatto molto riflettere: il
comportamento delle femmine. Sono Di Due Tipi le femmine scimpanzé, attentamente
studiate dalla nostra etologa: la maggior parte di esse fanno famiglia col
maschio e con i figli: partoriscono, nutrono i neonati, li proteggono dalle
intemperie, li educano nella crescita; ma un’altra parte di femmine si comportano
in modo del tutto diverso; vivono errabonde e sole, sono fortemente stimolate
dagli istinti sessuali, perciò cercano il maschio e sanno come offrirsi a lui
nei modi più stimolanti, ma poi l’abbandonano e proseguono con altri la loro
ricerca del piacere. (..). Questo Salto dal cervello alla mente è spiegato
dalla teoria evolutiva come il vero punto che consente di passare dall’una ad
altra specie. La natura modifica il cervello, la cassa cranica che lo contiene,
il numero delle cellule e la loro specializzazione e tutto il resto che ne
deriva a cominciare dalla trasformazione delle fasce nervose, dei tendini,
dalla struttura ossea, dei muscoli e della contrapposizione del pollice delle
mani alle altre quattro dita, mentre questa possibilità non è prevista per le
dita dei piedi che non sono affatto prensili. Tutte queste modifiche creano una
personalità capace di parlare di se stessa e dei diversi da sé. La Goodal
giudica impossibile che la scimmia, o almeno lo scimpanzé che è quello che più
ci assomiglia, possa varcare la soglia dell’Io e cioè che il suo cervello possa
modificarsi mettendo in moto l’intero processo evolutivo. (..). Ma si pone
allora il problema di come emergono nel corso del tempo le varie specie. Con un
atto creativo che crea una specie alla volta? Un Creatore indefesso cui non
basta la settimana biblica, ma continua a creare attimo dopo attimo una forma
diversa da quella precedente e da quella successiva, una Divinità senza scopo
alcuno, un motore che agisce senza scopo. (..). Queste domande sono sempre
aperte da milioni di anni. Lo scimpanzé non se le pone, ma l’uomo sì ed è
proprio questa la differenza che li divide.
Eugenio Scalfari – Il vetro soffiato www.lespresso.it – L’Espresso 7 Gennaio 2016
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