Sbagliare. Sono sempre più irritato da una
espressione che sento pronunciate in parlamento, nelle interviste, negli
articoli di giornali, nelle giustificazioni di ex carcerati, e così via. Si
tratta dell’uso improprio del verbo “sbagliare”. Sento dire e leggo che chi ha
sbagliato pagherà, che posso aver sbagliato ma ora mi dedicherò al
volontariato, che risponderai magistrati se ho sbagliato, che colui ha
sbagliato ma bisogna perdonarlo e, come dicono gli sciocchi, quant’altro. Ora io
ho ancora la pessima abitudine di consultare i dizionari quando voglio capire
il significato di una parola e trovo sul Grande Dizionario della Lingua
Italiana del Battaglia che “sbagliare” significa “Fallire una azione (o il modo
di compierla), un lavoro, una scelta, una valutazione, ottenendo un risultato
impreciso, scadente o errato”. Il Battaglia non specifica, ma lo si deduce dai
vari esempi che cita, che chi sbaglia lo fa senza volerlo. Sbaglia il
ragioniere che per disattenzione fa dei conti errati, sbaglia il pilota che
compie un atterraggio scorretto, sbaglia il medico che azzarda una diagnosi
inesatta, ma ciascuno di costoro aveva la ferma intenzione di fare bene e non
si era accorto che sbagliava. Invece Coloro per cui si usa oggi il verbo sbagliare (concessori, corruttori,
usufruttuari illeciti di carte di credito, truffatori di correntisti
disinformati, circonventori d’incapace, bustarellari, incassatori di tangenti e
via via sino a chi uccide la nonna a colpi d’ascia o butta il vetriolo in faccia
all’ex fidanzato) non sbagliano: coscientemente commettono ciò che sanno essere
contrario a leggi, buoni costumi, pubblica moralità, ovvero in termini
religiosi “peccano”. E quindi, anziché sbagliare, intenzionalmente delinquono,
anche se delinque in modo veniale chi passa col rosso, e in modo mortale chi
ammazza la nonna. Parlare dunque di sbagli è irritante eufemismo con cui si
vuole coprire la responsabilità di chi ha violato una legge, come se fosse un
bambino che per distrazione ha scritto che due più due fa cinque. Sulle Palle di Hitler. Leggo con stupore la notizia, presentata come inedita, che
Hitler avrebbe avuto un solo testicolo. Non so se sia vero o no, e credo sia
ormai difficile fare controlli, ma certamente la notizia (o leggenda che dir si
voglia) è vecchia come il cucco. I aoldati britannici, durante l’ultima guerra,
cantavano (sul motivo del Ponte sul Fiume Kwai) “Hitler, has only got one ball
– Goering has two but very small – Himmler is very similar – but doctor
Goebbels has no balls at all”, il che può essere tradotto con “Hitler ha un
solo testicolo – Goering ne ha due, ma molto piccoli – Himmler lo stesso (ma si
perde la splendida rima tra “Himmler” e “Similar”) – ma il dottor Goebbels di
palle non ne ha affatto”. La canzone commetteva un errore. Per usare il gergo
della soldataglia, il dottor Goebbels aveva un par di palle: era uomo di
notevole cultura, aveva un dottorato, e i suoi scritti sulle comunicazioni di
massa nell’era della radio sono di sconcertante attualità.(..). Può darsi che
Goebbels e signora credessero fermamente negli ideali nazisti, e dunque
avrebbero “sbagliato”, ma Goebbels era abbastanza colto (figuriamoci che il suo
dottorato era sulla letteratura romantica tedesca) per capire che quello che
stava facendo non era proprio bello e non sarebbe stato approvato da Goethe.
Questo forse ci dice che non bisogna mai fidarsi neppure delle persone colte.
Goebbels non era un “compagno che sbagliava”. Ma anche su questa definizione ci
sarebbe molto da dire.
Umberto Eco – La bustina di Minerva www.lespresso.it – L’Espresso 2016
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