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venerdì 29 novembre 2019

Lo Sapevate Che: 93 anni fa moriva Eduardo Scarpetta. I funerali raccontati dai figli Vincenzino e Maria


Esattamente 93 anni fa, il 29 novembre 1925, moriva Eduardo Scarpetta. “In un giorno di novembre del 1925 – racconta la figlia Maria nella bellissima biografia Felice Sciosciammocca, mio padre (Morano Editore, 1949) – alla solita ora della colazione, Pasquale, il fedele cocchiere di Eduardo Scarpetta, lo trasportò a casa nel coupé, moribondo. Si era sentito male per istrada e i medici accorsi diagnosticarono un attacco di arteriosclerosi. Resistette otto giorni, arrivò persino con la sua fibra di acciaio a superare la crisi, riprese quasi conoscenza e non perdette l’occasione di balbettare che i medici erano “na mappata ‘e fessi!”. Lottò con la morte disperatamente, come aveva lottato con tanti nemici forti nella sua vita, ma questa volta non la spuntò: una polmonite inattesa (egli già soffriva di enfisema polmonare) la sera del 29 gli troncò definitivamente il respiro”.
Tutta Napoli per l’ultimo saluto a Scarpetta
A Napoli non si capì nulla. Tutta la città affollò via Colonna e Rione Amedeo per dare a Scarpetta l’ultimo saluto.
“Fu imbalsamato – continua Maria – ed esposto nel salone di casa. Davanti al suo corpo sfilarono per due giorni buona parte dei napoletani. Era tale la ressa che fu indispensabile un servizio d’ordine nella strada, nel cortile e per le scale. I funerali furono catalogati tra quelli memorabili che ricordava la città: il cardinale Sanfelice, Crispi, Gainturco. Parlò di lui Libero Bovio e l’intervento ufficiale del Comune e della Provincia fece rilevare a qualcuno che il governo centrale non si era in alcun modo fatto vivo. Ma come poteva accadere che un governo, insensibile all’umorismo, alla risata o alla gioia di vivere, sentisse il bisogno di onorare un artista, creatore della risata che è libertà? Lungo le strade di Napoli, fra le mostre illuminate dei negozi, in un piano assurdamente leggero e giocondo, passò la sua bara nel carro che poi si chiamò carro Scarpetta. Passò trionfale, quasi vivo, come passano i veri poeti e i grandi musicisti che sanno dare un’eccitazione entusiastica ed elettrizzante allo spirito umano”.

La versione di Vincenzino nel libro della Cozzi-Scarpetta
In “Vincenzo Scarpetta – Teatro (1920 – 1930). La vita artistica tra Rivista, Piedigrotta e Sciosciammocca. Volume III” di Maria Beatrice (Mariolina) Cozzi Scarpetta, edito da Liguori quest’anno, si racconta così la vicenda: “Questa stagione teatrale, una delle più fortunate per Vincenzo, si chiude in modo tragico: il 29 novembre 1925 muore il padre Eduardo. Così annota Vincenzo nella sua agenda: Domenica 29. Cammerera nova (la commedia che si dava quella sera al Manzoni di Roma, ndr). Arrivo a Roma ore 15.43 (n.b. arrivo a Roma perché dal 24 novembre Vincenzino era stato al capezzale del padre, a Napoli ed era ripartito proprio il giorno della morte ndr) . Recito io, giorno e sera. Alle 22,45 ho ricevuto la telefonata da Napoli. È Amelia che mi informa che papà si è aggravato. Ma non può proseguire. M’accorgo dal telefono che singhiozza. Ho capito!… La catastrofe è avvenuta!… continua a parlare il dottore Corrado De Rose, nostro caro amico e medico curante del povero papà. Mi dice: “Appena terminato lo spettacolo parti subito di nuovo.” Alle 24 e 20 riparto per Napoli. Arrivo alle ore 6 e 30. Trovo alla stazione Eugenio Mangini che mi attende con l’automobile. Corriamo a casa. Il mio povero papà era morto alle 22 e 20 del 29!… Povero grande papà mio! Quanto è morto in Lui!!…”

Il racconto – fantasioso – di Peppino
La descrizione che ci fa Vincenzo di quella tragica notte, differisce da quanto riportato da Peppino De Filippo in “Una famiglia difficile”: «Durante la sua agonia, suo figlio Vincenzino giunse da Roma partendo dalla capitale dopo la recita con un treno della mezzanotte e minuti, in tempo per raccogliere le ultime parole del suo grande padre che aveva trovato giacente, ansimante e livido. Gli si accostò e trattenendo a stenti le lacrime che gli gonfiavano gli occhi, gli disse: – Papà me siente? Me ricunusce? So’ Vincenzino… me siente? Me vide? – Don Eduardo sollevando appena le palpebre, guardandolo per un attimo mormorò: – Sì… te ricunosco… te veco… tu si’ Vincenzino… ’o figlio mio faticatore! – E da lì a poco spirò.» 

L’elogio di Bovio e la vendetta di Eduardo De Filippo

Nella biografia di Eduardo De Filippo a firma di Maurizio Giammusso infine si racconta che alle 10,30 del mercoledì in cui si svolsero i funerali, il portone di via Colonna fu chiuso per gli ultimi preparativi del corteo, fissato per le 11 di una giornata dove piangeva anche il cielo. “I muri di via Colonna e di molte altre strade erano stati tappezzati di manifesti listati a lutto, erano arrivate almeno 100 corone (…). La bara era portata a spalla da Vincenzino, da Mimì e dal cognato Mario Mangini (nella foto in alto Vincenzino e Mimì portano a spalla la bara del padre, da www.eduardoscarpetta.it, ndr).  Scendendo le scale del palazzo pareva che ondeggiasse sulla folla come una barchetta su un mare di teste, tanta era la gente che premeva intorno. Via Vittoria Colonna e via dei Mille, a poco a poco, si affollarono all’inverosimile”. Non cita, stranamente, Giammusso, Eduardo stesso che secondo le cronache del Roma  del  30 novembre 1925, portava anche lui a spalla la bara del padre, insieme ai fratelli… Giammusso ricorda invece la cronaca del Mattino di quel giorno: Libero Bovio prima che il corteo si muovesse fermò tutto con un gesto plateale per tessere l’elogio funebre di Scarpetta e per indicare, pubblicamente, in Vincenzino l’erede designato. Eppure Bovio aveva polemizzato con  Scarpetta, cui rimproverava la predilezione per un repertorio di chiara derivazione francese e assieme a numerosi critici e scrittori napoletani, prese parte attiva alla battaglia sostenuta per la creazione di un teatro napoletano originale non contaminato dalle riduzioni di pièces pochades d’Oltralpe. L’elogio di Bovio suonò talmente falso a Eduardo De Filippo che ne “Gli esami non finiscono mai” Eduardo si vendica e fa pronunciare l’elogio funebre per Guglielmo Speranza da parte di Furio La Spina usando parole apparentemente amorevoli ma in realtà denigratorie proprio ispirandosi a Bovio nel giorno dei funerali di Scarpetta… ma questa è, ancora, un’altra storia…

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