Ci sono parole, che usiamo tutti i giorni, alle quali
abbiamo sempre attribuito un significato o una certa etimologia. Invece in
questi casi la realtà è un'altra.
Ok significa "va bene". Così come Wi-Fi sta
per wireless fidelity e SOS per Save our souls (salvate
le nostre anime). Giusto? E invece no, non è così.
O meglio: il significato che abbiamo attribuito nel
tempo a queste parole, acronimi e non, non è quello che avevano in origine.
Perché se alcuni neologismi hanno un'etimologia precisa e verificabile, alcune
delle parole che usiamo correntemente sono solo figlie di un guizzo creativo, e
non hanno alcune senso apparente. Ecco 6 esempi illuminanti.
WI-FI. Si pensa che che la parola Wi-Fi sia sinonimo di “wireless fidelity”, proprio come, nel campo
dell'audio, Hi-Fi lo è di
high fidelity (alta fedeltà). Tuttavia, secondo Alex Hills, tra i creatori delle prime reti Wi-Fi non è così. La
parola fu coniata solo per ragioni di marketing. Le specifiche tecniche
utilizzate dalle reti wireless appena create (descritte da uno standard che ha
un nome, IEEE 802.11, che è tutto un programma!) erano poco orecchiabili. Nel
suo libro, Wi-Fi and the bad boys of radio, Hills ricorda che i
membri della Wi-Fi alliance hanno scelto la parola principalmente perché
suonava bene, e il legame naturale tra Hi-Fi e Wi-Fi probabilmente ne ha
aiutato la diffusione. Ma le due parole non hanno nulla a che fare l'una con
l'altra e non sono in alcun modo collegate.
SOS. Un po' tutti abbiamo sentito dire che SOS sia l'acronimo di Save Our Souls (Salvate
le nostre anime) o, secondo qualcun altro, Save Our Ship (o
Salvate la nostra nave in italiano). La verità è che il popolare acronimo della
ricerca di aiuto non significa nulla di tutto ciò, ma nasce dal segnale
universale nel codice morse di tre
punti, tre trattini e altri tre punti. Introdotta ufficialmente nel 1905 dal
governo tedesco, questa sequenza è infatti facilmente riconoscibile anche per
l'orecchio inesperto. Questo a suo tempo fu ritenuto importante, in quanto
avrebbe permesso alle navi in acque straniere di inviare la richiesta di aiuto senza
doversi preoccupare di eventuali... barriere linguistiche.
Per altro, lo stesso segnale in codice morse può
essere espresso in vari modi: le sequenze IJS, SMB e VTB, per esempio, danno
vita a una stringa di punti e trattini praticamente uguale a quella prodotta da
SOS. Tuttavia quest'ultima, alla fine, l’ha spuntata sulle altre sigle perché
era più facile da ricordare e, forse, anche perché può essere letta in
qualsiasi verso. Insomma, le interpretazioni di possibili significati che
coinvolgessero anime e navi, sono arrivate solo dopo...
KODAK. Anche il marchio Kodak, uno dei più noti tra i fotografi,
non ha un significato reale. Qualcuno ipotizzò che la parola Kodak fosse la
rappresentazione onomatopeica del suono prodotto da un otturatore quando si
scatta una foto.
Ma in realtà pare che il fondatore della
compagnia, George Eastman, abbia coniato la parola
semplicemente perché gli piaceva la lettera K: "una lettera forte e incisiva”. Eastman ha
così optato per il nome Kodak perché ha pensato che fosse anche abbastanza
semplice da non essere mai pronunciato male e sufficientemente distintivo da
non essere confuso con un'altra parola. E poi di K ne conteneva ben due!
OK. Secondo lo Smithsonian Institute, le origini di OK, la parola più comune della lingua inglese (ma adottata anche da altre
lingue, italiano in primis) non sono del tutto chiare. Ma una teoria comune e
altamente plausibile è che sia stata coniata come un gioco di parole, senza un
significato reale. Un giornalista del Boston Morning
Postaprì il caso con un articolo sull'ortografia nel 1879,
dove suggeriva che OK fosse un acronimo di "Oll Korrect", un
deliberato errore ortografico di All Correct (tutto giusto), e che questo abbia
poi contribuito al definitivo sdoganamento nel lessico popolare americano.
Ma le ipotesi non finiscono qui. OK potrebbe derivare
dal gergo dei militari (inglesi o americani) inviati in perlustrazione per
contare o recuperare i corpi dei soldati rimasti uccisi in battaglia. Di
ritorno dalla perlustrazione, per comunicare tempestivamente il numero,
scrivevano su una bandiera la cifra, seguita dalla lettera K (da killed che
in inglese significa "uccisi”): se nessuno era morto sventolavano la
bandiera con scritto "O K", ossia zero soldati uccisi. Una genesi
analoga potrebbe avere prodotto il gesto, ormai universale, con cui oggi
comunichiamo il nostro OK: in questo caso i soldati, mimando lo zero con il
pollice e l'indice, intendevano comunicare
che non si contavano morti. Un'altra possibilità, infine, è che l'espressione abbia avuto origine in Europa o in Medio Oriente, dal momento che anche le tribù beduine del Sahara sembravano averne familiarità.
che non si contavano morti. Un'altra possibilità, infine, è che l'espressione abbia avuto origine in Europa o in Medio Oriente, dal momento che anche le tribù beduine del Sahara sembravano averne familiarità.
ZUMBA. Il nome di una
delle discipline più popolari nelle palestre ha una storia bizzarra. Prima di
essere conosciuto come Zumba, il programma di fitness era conosciuto come
Rumbacize, una "parola macedonia" prodotta
da Rumba (che in spagnolo significa danza) e da Jazzercise, un programma di
esercizi simile popolare negli anni '90. I problemi sorsero, tuttavia, quando
il creatore di Zumba, Alberto Perez, provò a registrare il marchio Rumbacize e scoprì che era già stato
registrato furtivamente dal proprietario di una palestra in cui insegnava. Così
si mise alla ricerca di una parola che colpisse. Zumba gli sembrò la scelta
giusta, anche se fino ad allora non esisteva e... non significava nulla.
ALITOSI. Le pubblicità dei collutori oggi citano l’alitosi come il nemico da battere: eppure nonostante il
termine evochi un che di scientifico… la parola "alitosi" di
scientifico non ha proprio nulla. O meglio: il termine non esisteva finché
titolare dell'azienda Listerine, negli anni '20 del secolo scorso, tentò
di commercializzare un prodotto in grado di fare tanto da antisettico quanto da
sapone per i pavimenti. Fu un fallimento.
Così Jordan Wheat
Lambert (così si chiamava) decise di cambiare strategia
e di commercializzare il suo prodotto come cura contro l'alito cattivo. E per
convincere il pubblico ad acquistare il suo Listerine, Lambert perlustrò il
dizionario e si imbatté in una vecchia parola latina che significa respiro,
alito, che modificò in alitosi per attribuirle un alone di... malattia.
L'azienda pubblicò poi una serie di annunci in cui sostenevano che l'alitosi
era un problema cronico che affliggeva l'America, per il quale solo loro avevano
la cura.
focus.it/cultura
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