Nella storia della letteratura, da quando l’uomo cominciò a decidere e a
descrivere i fatti, i sentimenti, gli istinti e insomma la propria interiorità
e quella degli altri da lui interpretata, ci fu una distinta formula: il poema
e la poesia. Del resto analoghe distinzioni avvenivano anche n altre arti. Per
esempio nella pittura, tra il disegno, il quadro dipinto su tela, l’affresco
dipinto su muro. La musica: quella sinfonica, quella operistica e quella della
danza e del ballo. Sono distinzioni profonde: gli strumenti adoperati sono quasi
sempre gli stessi, ma nelle opere che da essi, derivano sono profondamente
diverse. O almeno, così pare a me. Quindi poema e poesia. Prendete Omero, tanto
per cominciare dall’antico: Omero chiunque fosse (o fossero) scrisse solo
poemi: l’Iliade e l’Odissea sono poemi, raccontano in versi quanto è avvenuto e
quanto l’autore ha inventato. Il poema è composto da versi, rime, sillabe, ma è
la storia di alcuni personaggi. Un esempio più moderato di Omero e quasi
moderno (visse ottocento anni fa) è stato Dante con la sua “Divina Commedia”:
altri poemi non scrisse, ma poesie sì, molte; non raccontavano fatti ma
sentimenti. Cavalcanti, amico di Dante, scrisse molte e molto belle poesie, ma
non poemi. Ariosto solo poemi. Shakespeare drammi teatrali, ma anche poesie
(Sonetti). E per venire al moderno, in Italia Leopardi scrisse solo poesie (La
Ginestra non è un poema). D’Annunzio scrisse poemi e poesie. Montale soltanto
poesie. Prima ho accennato anche alla musica e alla pittura, ma non mi dilungo:
anche lì le varie forme sono distinte tra loro, più dalle diverse tecniche che
dai contenuti. Col passare del tempo e arrivare all’oggi, il poema non è più di
moda. In Itala l’ultimo fu D’Annunzio ma i suoi poemi sono soltanto romanzi in
prosa, raccontati in versi. Oggi la letteratura poetica è soltanto fatta di
poesie. I poemi sono di fatto scomparsi perché il romanzo ne ha preso il posto,
soprattutto in Occidente. Con Rossini, con Verdi, con Puccini, domina il
melodramma, ma questa è musica e non racconto in prosa. Dunque il poema non c’è
più, almeno nell’Occidente. Resta la poesia, anzi tende ad aumentare. Naturalmente quella
moderna non è la stessa di quella antica. Per esempio è assai più libera dal
punto di vista della metrica e della rima. Come mai? E con quali risultati? La
rima c’è ancora ed anche la metrica, ma sono usate in modo completamente
diverso da quanto avveniva una quarantina di anni fa. Un tempo (non lontanissimo)
la rima chiudeva con il verso in vari modi e intervalli; era cioè legata alla
metrica: endecasillabi, settenari, dodecasillabi, quinari e così via. Rime
alterne o rime baciate, come allora si diceva. Oggi non è più così La metrica
in una poesia di oggi cambia di verso in verso: può cominciare con un
settenario per passare all’endecasillabo, un quinario e via così. Tuttavia i
versi sono stesi anche senza rime, il numero delle loro sillabe deve avere una
sua musicalità. La rima del canto
Suo non c’è più o
quasi. Assai raramente è posta a fine verso; e si appoggia a rime che stanno
alla fine di un paio di versi precedenti anch’esse alla metà degli stessi. Ma
anche questo nuovo modo di maneggiare la tecnica poetica non è affatto
sgradevole: la metrica è libera ma c’è; la rima è anch’essa libera come
appoggiarsi nel verso ma può anche non esserci affatto. Questa rivoluzione,
chiamiamola così, non è avvenuta soltanto nella poesia, ma anche nella musica
sinfonica, dove le dissonanze hanno di fatto abolito le consonanze e i tempi
hanno sancito la propria regolarità e si alternano come l’autore sente
necessario. Non parlo della pittura, dove gli schizzi di colore sulla tela o
sulla parete vengono lasciati come sono oppure manomessi e trasformati in fasce
o sgorbi voluti e pensati, che dimostrano di solito le capacità espressive del
pittore ma talvolta, o addirittura spesso la sua pittorica incapacità. Insomma
il mondo delle arti, è profondamente
cambiato. Esprime sentimenti che vorrebbero essere intensi e spesso lo sono ma
non mancano i casi nei quali non esercitano alcuna influenza su chi li guarda e
neppure – a volte – su chi li ha prodotti in modo meccanico ed inutile. La
verità è che spesso l’ispirazione non è stata altro che confusione. Mi permetto
di aggiungere che questa dominanza della confusione sta stravolgendo anche la
vita pubblica e l’umanità in genere. Il motto che è stato proprio della mia
generazione fu: “Libertà, eguaglianza, fraternità”. Quello che può adottare la
generazione attuale poiché ne riflette la sostanziale psicologia potrebbe
essere: “Vita libera, libera socialità, libero amore e libero potere”. Non so
se piace, ma certo è rappresentativo della società attuale. Rifiutarlo è
inutile, la vita va come va. Il vero responsabile è l’Io, l’elemento
psicologico che distingue la nostra specie dalle altre specie animali.
Attenzione però: se cambia l’Io cambia anche la specie e ne nasce un’altra.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 23 settembre
2018 -
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