Per Scrivere Il Mio nuovo libro, ho
bisogno di fare il silenzio attorno a me. Chi mi legge – credo – non vuole
ritrovare il chiacchiericcio, la superficialità, l’approssimazione che segnano
il nostro mondo della comunicazione veloce. Un silenzio quasi assoluto,
quest’anno l’ho trovato nell’ultimo scorcio delle mie vacanze. A Tellàro
(l’accento lo aggiungo io per ricordare come si pronuncia, alle porte di
Lerici, in una Liguria ancora più remota di quella che mi è familiare. Un
grappolo di casette antiche separate da vicoli strettissimi, 450 abitanti, un
paio di chiese, un molo minuscolo che guarda verso Portovenere e l’isola di
Palmària. Tanto mare davanti agli occhi, tanto verde sulla montagna che
incombe. Un solo negozio di alimentari, un verduraio. Senza macellaio, né
pescivendolo. “Diventiamo vegetariani per forza”, mi spiegano sorridendo. C’è
un hotel a una stella, una rarità. L’aria condizionata è al bando. Contro la
torrida calura, ci sono ventilatori di una volta. Nei dintorni ho esplorato un
paio di spiagge fra gli scogli, dove perfino i bambini giocano a voce bassa,
contagiati dall’atmosfera che li circonda (o forse perché sono inglesi). Ho
amic e parenti che hanno trovato lo stesso tipo di rifugio pre-moderno alle
isole Eolie, alle Tremiti, o sulla via Francigena. Mi piace sapere che un eremo
dolce e tranquillo esiste anche a due ore di strada da Milano (il mio aeroporto
per New York). Tallàro coltiva l’anti turismo di massa e i frequentatori si
guardano bene dal farlo sapere troppo in giro. L’invito a presentare il mio
libro Le linee rosse mi è arrivato in
modo semiclandestino, da Mariangela Guandalini. L’ospitalità era di Lauro
Cabano e Silvio Vallero, animatori dell’antica Società di Mutuo Soccorso fra Operai
e Marittimi. Siamo nel mondo della nostalgia distillata allo stato puro.
Uno di questi
amici, dopo la mia conferenza mi confessa: “Quando hai citato i tempi in cui
debuttasti come giornalista nella stampa del Pci di Enrico Berkinguer, mi è
venuto da piangere. Volevo applaudire da solo”. Al termine dell’incontro, mi
hanno accompagnato in riva al molo. A mezzanotte, sotto le stelle e al ritmo
dello sciabordio delle onde sulle rocce, una cantante e chitarrista intonava i
capolavori di Jacques Brel, Serge Gainsbourrg, Edith Piaf e alti chansonnier. La quiete ha i suoi
svantaggi. Pochi anni fa una frana isolò Tellàro: per metà l’acqua potabile è
arrivata soltanto via mare e la Società di Mutuo Soccorso ha distribuito il
pane. Ma non è un caso se quella zona e i suoi dintorni immediati, da Lerici a
Portovenere, siano diventati il Golfo dei Poeti. Lì si rifugiarono per primi
gli inglesi Shelley e Byron, poi inseguiti da emuli e ammiratori di altre
generazioni come D.H. Lawrence ed E.M. Forster. Sulle alture si affacciarono
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Poco più in là, a Monterosso, regnava
Eugenio Montale. Mi è tornata in mente la figura di uno dei miei storici
preferiti, il francese Fernand Braudel. Che con ka Liguria c’entra, essendo
stato uno dei massimi studiosi della storia del Mediterraneo. C’entra ancor più
con la solitudine dello scrittore. Braudel, giovane partigiano antinazista, fu
catturato e incarcerato dai tedeschi. In prigione non gli passavano libri. Lui
usò la sua cella come un luogo magico, per scavare nella memora. Scrisse
l’essenziale di quella che sarebbe stata la sua tesi di dottorato, e la bozza
del suo meraviglioso libro sulle civiltà mediterranee dai tempi antichi ai
nostri giorni. Tutto frugando nella propria mente, Ve l’immaginate oggi, in
quest’epoca in cui ogni due minuti chiediamo aiuto al nostro smartphone? Siamo
o no siamo lievemente decaduti? Non ho mai tentato di scrivere poesia. Però
Tellàro ha fatto un gran bene anche a me.
Federico
Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 1 settembre 2018 -
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