In Quest’Epoca in cui l’autostima degli italiani è ai minimi
storci, una terapia la sperimenta mio figlio. Si chiama Leonardo da Vinci.
Pronuncia quel nome, e girerai il mondo. Quando dici Italia, per nostra fortuna,
la quasi totalità degli americani e dei cinesi, dei russi e degli indiani,
degli scandinavi e dei brasiliani, non pensa ad altro: scatta l’associazione
d’idee coi grandi del Rinascimento, la nostra arte, il paesaggio, la qualità
della vita, il cibo e la moda, il design, la musica lirica. E’ un’esperienza che
Iacopo e tutta la famiglia Rampini hanno immagazzinato in una vita di
espatriati, nomadi globali. Appena ti presenti come italiano, sul volto dello
straniero si accende una luce, un’ammirazione immediata. Non ce lo meritiamo,
ma la storia ci ha fatti nascere sulle spalle di giganti. Il gigante Leonardo
sta facendo viaggiare Jacopo ancora più del normale. Da attore trilingue, Iacopo
è già abituato a destreggiarsi tra impegni di lavoro a New York, Parigi, Roma e
Miano. Un attore giovane deve fare di tutto: teatro e tv, film e cortometraggi,
pubblicità e doppiaggi, audiolibri. Il networking sui social media aggiunge una
dimensione nuova per la sua generazione: mentre stava lavorando in Italia, essendo
già “così vicino”, Jacopo è stato ingaggiato da un regista per girare un film
in Norvegia. Evviva i voli low cost. Ma il suo pendolarismo abituale è stato
amplificato da Leonardo. Per merito di un progetto teatrale di Massimiliano
Finazzer Flory, che ne cura la regia ed è l’interprete principale. L’idea è
semplice: far parlare Leonardo da Vinci per raccontare al pubblico di oggi la
straordinaria versatilità del genio. Troppi lo conoscevano “solo” come l’autore
della Gioconda (perché vanno a farsi
selfie al Louvre) o del Cenacolo di
Santa Maria delle Grazie a Milano. Ma come insegna il museo della Scienza e
della tecnologia a lui dedicato, sempre a Milano, Leonardo fu matematico e
inventore, scrittore e drammaturgo, scultore e studioso dell’anatomia. Le sue
“macchine” ebbero un uso teatrale, o servirono a fare la guerra (ahimè sì,
anche ai suoi tempi come nella Silicon Valley di oggi, uno dei grandi
committenti per la ricerca scientifica è l’esercito). Fu architetto e
urbanista, alcuni canali portano la sua firma. Un genio così straripante, ce lo
contendono. Tuttora mi capita di litigare con amici francesi, aggrappati alla
certezza che lui fosse uno di loro solo perché ebbe la sorte di tanti nostri
talenti in fuga: all’estero trovò più fondi e meno litigiosità. Finazzer ha
avuto l’idea di condensare la storia in Essere
Leonardo da Vinci: intervista impassibile, formula contemporanea che è un
artificio teatrale. Jacopo recita la parte del giornalista. Le domande servono
ad esplorare il personaggio in chiave divulgativa, ma usando parole testuali di
Leonardo. L’anno prossimo lo spettacolo è un cartellone al Piccolo Teatro di
Milano, ma molto prima di quell’appuntamento avrà girato il mondo. Le tournée
sono vorticose. I Estremo Oriente questa Intervista
è stata a Hong Kong, Singapore, Bangkok e Giacarta. L’ultima tappa europea che
ricordo è Copenaghen. Negli Stati Uniti l’hanno già vista a New York, Los
Angeles e Miami. I francesi – ancora loro – hanno voluto sostenere la versione
cinematografica, offrendo generosa ospitalità logistica purché si mettano in
bella mostra i paesaggi leonardiani di Amboise (dove passò gli ultimi anni
della sua vita, accolto dal mecenate Francesco I). Ci sono trattative per una
tournée nel Golfo Persico. La prima del film potrebbe esordire alla Morgan
Library di New York. Che fortuna abbiamo noi italiani, a poter dire con
leggerezza tra tanti nostri difetti, da qualche parte nel nostro albero
genealogico si affaccia quel signore là.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica - 15
settembre 2018 -
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