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mercoledì 19 settembre 2018

Lo Sapevate Che: Il Grande Reporter al 75 per cento...


Un giornalista rispettabile non dovrebbe mai scrivere più del settantacinque per cento di quel che sa. È quel che pensava e praticava Henry Tanner. All’accusa di autocensura reagiva con ironia. Non si trattava di omettere qualcosa per opportunità ma di non esibire troppo le proprie conoscenze, autentiche o spacciate per tal, di non dar da intendere di sapere più di quel che si sa. Nella politica, nella cultura, nella storia ma anche nella cronaca. Henry Tanner è morto vent’anni fa, quando stava per compierne ottanta. Il suo cuore ha ceduto a Lisieux, in Francia, nel 1998. Era nato a Berna nel 1918. Venuto al mondo svizzero, è morto americano, con alle spalle una vita di giornalista esemplare. Rifiutò il Pulitzer perché doveva condividerlo con un collega di cui non approvava il comportamento.  Nel dopoguerra, avventurandosi negli Stati Uniti, ha lavorato come fattorino nei giornali. Poi è stato editorialista di politica estera nel Texas (all’Houston Post); redattore nell’ufficio del New York Times a Washington al tempo di Kennedy; corrispondente dalle Nazioni Unte; inviato speciale nella guerra d’Algeria; capo dell’ufficio di Parigi durante il maggio ’68; e, sempre per il New York Times, corrispondente da Mosca; e a lungo dal Cairo durante le guerre arabo-israeliane; e infine da Roma. Conosceva almeno sei lingue. La sua esperienza giornalistica giovanile in Europa era stata intensa: aveva lavorato per l’agenzia americana United Press seguendo i partigiani di Tito in Jugoslavia e poi nella Trieste contesa. Aveva seguito la guerra civile greca per Life, e il referendum italiano che condusse alla proclamazione della nostra Repubblica. Ho incontrato per la prima volta Henry Tanner in Congo durante la crisi dell’indipendenza all’inizio degli anni Sessanta. L’ex colonia belga era un fronte non tanto secondario della “guerra fredda”. Americani e sovietici si contendevano il controllo delle ricchezze minerarie di quel paese, che aveva fornito l’uranio per le prime bombe atomiche. Un giorno ci trovammo per caso vicini su un aereo che volava da Leopodville a Elisabethville. Io picchiavo freneticamente sui tasti della mia Olivetti. Lui mi chiese cosa stessi scrivendo con tanto slancio. Non sapeva che gli americani avevano creato una campagna internazionale alla quale il primo ministro Patrice Lumumba aveva affidato il compito di sfruttare le miniere del Congo indipendente? L’annuncio era stato fatto dallo stesso Lumumba poco prima che il nostro aereo decollasse. Così gli americani si erano impossessati della ricchezza dell’ex colonia belga. Henry scoppiò in una risata: mi raccontò che poco prima della nostra partenza l’ambasciatore degli Stati Uniti aveva rivelato che chi aveva concluso l’accordo con Patrice Lumumba era un noto truffatore internazionale. Un americano. Era stata una truffa e al tempo stesso una farsa. Sull’aereo che ci portava nel Katanga, dovetti cambiare versione: non scrissi più di un grande avvenimento internazionale, ma feci la cronaca di un imbroglio. Così cominciò l’amicizia con Henry. Un’amicizia diventata fraterna. Con lui avrei lavorato in tanti paesi, dal Cairo all’Algeria, al Libano, alla Francia. Ed è proprio in Libano che mi dette una di quel che significava il suo “75 per cento”. Un giorno, durante la guerra civile, Henry Tanner era sull’automobile di Edouard Saab, direttore del quotidiano libanese “Le Jour”. Eduard, un maronita nato a Latakie, in Siria, era un amico comune, di Henry e mio. Guidava attraversando una zona di Beirut contesa da gruppi cristiani e musulmani, quando un proiettile sparato non si sa da chi mandò in frantumi il parabrezza. E fulminò Edouard che si accasciò, morto, sul volante. Investito dal pulviscolo di schegge di vetro, Henry cercò di impadronirsi del volante. Poi, per ore, in mezzo a una sparatoria, sull’automobile finita in un fosso dopo avere urtato un albero, cercò di proteggere il corpo di Edouard. Quella sera stessa il New York Times ricevette la puntuale corrispondenza di Henry Tanner che raccontava l’uccisione di Edouard Saab. Nell’articolo non si accennava al fatto che lui era al suo fianco. Così Henry Tanner, non parlando della sua presenza in quel tragico episodio, quindi neppure delle sue ferite, della sua faccia insanguinata, aveva rispettato la regola del “75 per cento”. Non aveva esibito la sua condotta. Henry era per me unico del genere. Lo è rimasto vent’anni dopo. Dovevo ricordarlo.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 16 settembre 2018

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