Siamo Già In una dittatura! E’ la dittatura dell’informazione televisiva che risponde
a un solo scopo: l’audience! Senza nessuna etica. E senza nessun interesse
verso i cittadini-spettatori. I politici più disincantati usano questo
meccanismo per autocelebrarsi.
Se Per Dittatura pensiamo a quelle che periodicamente
si succedono nei Paesi dell’America latina, e ora stabilmente nell’emisfero
cinese, se pensiamo a dittature mascherate da messe in scena democratiche come
in alcuni Paesi musulmani, in Turchia, in Russia, allora rispetto a loro non
siamo ancora in una dittatura. Ma neppure in una democrazia come siamo soliti
pensarla per il solo fatto che periodicamente andiamo a votare, dimenticando il
monito del politologo Giovanni Sartori, secondo il quale andare a votare non è
ancora un segno compiuto di democrazia, ma solo un modo per eleggere i capi. La
democrazia incomincia là dove si cerca di dare a tutti le stesse opportunità
per realizzare se stessi e raggiungere gli obiettivi che ci propone. Quindi un
aiuto, in termini di assistenza, tempo e denaro, alle donne che desiderano
mettere al mondo un figlio, creazione di asili per l’infanzia onde consentire
alle mamme di non dover rinunciare al loro lavoro che è anche fonte della loro
autonomia. Diritto allo studio con borse che possono consentire anche ai meno
abbienti di studiare fino alla laurea. Agenzie del lavoro efficienti che facciano
incontrare velocemente domanda e offerta. Riorganizzazione della sanità con
riduzione significativa delle liste d’attesa. Assistenza dignitosa e rispettosa
ai portatori di handicap, agli anziani, ai folli. Controllo e abolizione delle
forme mascherate di schiavismo, come accade agli uomini di colore che
raccolgono, per pochi euro giornalieri, frutta e verdura che noi acquistiamo al
supermercato, dopo che la filiera ha fatto i suoi lauti guadagni a spesa degli agricoltori
e dei raccoglitori. La democrazia prende avvio e si afferma a partire da queste
cose e non dal semplice voto che può essere manipolato da una propaganda
fallace, ideata apposta per persuadere chi non è in grado di controllare la
verità di ciò che si promette. Per cui non è il caso di dire e di ripetere in
tutte le trasmissioni televisive che: “il popolo ha sempre ragione”. Perché se
è male informato dalla propaganda elettorale, e non ha la minima curiosità di
verificare se ciò che gli viene detto e ripetuto è vero o falso, il popolo non ha
sempre ragione. Già Platone avvertiva che la democrazia non era praticabile dai
sofisti con i loro falsi sillogismi, dai retori che seducevano con la mozione
degli affetti, dai demagoghi che esoneravano il popolo da ogni responsabilità
perché gli garantivano che ci avrebbero pensato loro. Per questo dei 35
dialoghi di Platone che ci sono pervenuti ben 14 mettono in guardia da errori e
sofisti e dalla loro capacità di persuadere senza argomentare. Oggi retori e
sofisti vengono ospitati dalla televisione con una frequenza che, come lei
dice, è misurata dall’audience e non dalla loro capacità di dire cose vere e
sensate. In televisione si procede per slogan, essendo questo messo
assolutamente inidoneo al ragionamento. Il timore che la gente si annoi e cambi
canale è l’assillo di ogni conduttore che interrompe senza esitazione chi prova
ad abbozzare un ragionamento. Va a finire che ha successo chi le spara più
grosse alzando la voce e buttando là qualche parola inopportuna. E sempre più
rari sono i conduttori che intervengono a far notare che quel che l’ospite sta
dicendo non corrisponde a verità. E pur di non interrompere il ritmo e i
battimani i conduttori, non tutti, ma molti, rinunciano a esercitare la loro
funzione di giornalisti che correggono quanto di palesemente falso o
approssimativo l’ospite dice. E anche qui la democrazia soffre nella sequenza
delle false notizie o dei ragionamenti incompiuti. Da ultimo, avendo assunto il
mercato a misuratore di tutti gli scambi e il denaro a generatore simbolico di tutti
i valori, va da sé che la politica non può decidere a prescindere
dall’economia. Un’economia a sua volta regolata dalle agenzie di rating. dagli
operator finanziari che con un giudizio negativo e con un click possono
svalutare i titoli emessi dai governi (democraticamente eletti) che, a questo
punto, non rovano più sul mercato acquirenti disposti a comprare i loro titoli,
col rischio di non essere più in grado di pagare stipendi e pensioni e con lo
spettro del fallimento. In una società globalizzata, dove il mercato è più
forte delle decisioni che la politica degli Stati può assumere, la democrazia è
ridotta a parola vuota.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 22
settembre 2018 -
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