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sabato 22 settembre 2018

Lo Sapevate Che: Esiste l'anima?....


Nel Fare Un’Analisi storica della dialettica Anima-Corpo mi sembra che si stia abbandonando l’idea dell’Anima! Me lo conferma un sacerdote che mi ha detto che oggi discuterne è un non senso perché l’anima non esiste più! Rivelazioni dal confessionale? Sarebbe il caso di credere al sacerdote, visto come la fede cristiana è traballante Già Freud, penetrando nelle profondità del corpo alla scoperta dell’inconscio, aveva praticamente ignorato l’idea junghiana della “realtà dell’Anima”! Insomma una completa vittoria del Corpo sul grigio sfondo della religiosità che si dissolve.   L. Cairati

Sa Che Le Dico: che la religiosità non si dissolve perché oggi ci si occupa più del corpo che dell’anima. E aggiungo che: se neghiamo la realtà dell’anima forse riusciamo a raggiungere la nostra “interiorità”, che non è una realtà come si crede sia l’anima, ma una riflessione su di sé e sul nostro modo di essere al mondo. Occuparsi di sé, anziché fuggire da sé come dal peggior nemico, è forse la strada più idonea per recuperare etica e valori, un tempo affidati alla cura dell’anima attraverso l’osservanza di una precettistica esterna mai interiorizzata e quindi fatta nostra. “Anima”, inadatti, come da anni vado scrivendo, è una parola che la tradizione ha reso venerabile: immortale nel linguaggio religioso, evocativa in quello dei poeti, fondamentale in quello psicologico che senza l’anima non saprebbe di che cosa occuparsi, essenziale nelle cose d’amore, dove nessuno vuole essere amato solo per le fattezze del proprio corpo. Eppure a questa parola non corrisponde assolutamente nulla. Se L’anima non esiste, esiste però “l’idea di anima”. E qui dobbiamo persuaderci che non è interessante sapere se un’idea è vera o falsa, ma se ha fatto o non ha fatto storia per tutto il tempo in cui è stata creduta vera. E la storia, come si sa, è più decisiva per la nostra vita di quanto non sia la logica che discetta sul vero e sul falso. La nozione di anima non è nata nella tradizione giudaico-cristiana, ma nella cultura greca a opera di Platone che, nell’intento di giungere a un sapere universale e valido per tutti (condizione essenziale per un sapere scientifico), ritenne che non ci si poteva affidare alle sensazioni corporee che sono diverse da individuo a individuo, ma era necessario operare con idee, numeri, misure, oggi diremmo con costrutti  mentali, di cui l’anima era depositaria per averli conosciuti un giorno in un cielo sopra il cielo (iperuranio). La tradizione giudaica non disponeva della nozione di “anima”, e ancora meno quella cristiana che ha il suo fondamento nell’incarnazione, nel farsi carne della Parola (Et Verbum caro factum est – dice Giovanni nel suo Vangelo). E i cristiani, nel loro atto di fede, il Credo, non dicono di credere, nell’immortalità dell’anima, ma nella risurrezione dei corpi. Fu Agostino a prelevare da Platone la parola “anima” – sottraendola allo scenario in cui Platone l’aveva collocata per risolvere i problemi della conoscenza – per inserirla nello ”scenario della salvezza”, inaugurando in tal modo il tratto tipico dell’antropologia occidentale che pensa l’uomo diviso in anima e corpo. Un corpo, corruttibile e perituro e un’anima incorruttibile e immortale. Con Cartesio il dualismo psico-fisico si ripropone con la distinzione di res cogitans e res extensa, dove il corpo non è come noi lo viviamo nel mondo della vita, ma come risulta dall’esame condotto con le idee chiare e distinte che all’epoca di Cartesio, erano quelle della fisica, e poi della chimica, oggi della biochimica e infine della genetica. Così separate le competenze, dell’anima si occuperà la religione e successivamente la psicologia, mentre del corpo si occuperà la scienza medica dopo averlo ridotto a “organismo”. Per poter operare la medicina ha bisogno di ridurre il corpo che io vivi e che coincide con la mia soggettività, a un oggetto osservato dalle categorie che presiedono il sapere biochimico e genetico. Non si tratta di due realtà, ma di due modi di considerare il corpo come corpo vivente sollecitato dagli stimoli che provengono dal mondo e impegnano in un mondo, e come corpo fisico che, come tutti gli oggetti, è semplicemente nel mondo senza avere un mondo. Approfondendo questa distinzione la fenomenologia e la psichiatria fenomenologica hanno sostituito al paradigma anima-corpo su cui si è articolato tutto il discorso religioso e psicologico, con il paradigma corpo-mondo, dove per corpo non si deve intendere l’organismo visualizzato dalla scienza, ma il proprio corpo vivente che è al mondo non come una cosa, ma come colui che dischiude intorno a sé un mondo. E se proprio siamo affezionati alla parola “anima”, ebbene chi non ne può fare a meno la mantenga pensando con questo termine non a una realtà ma alla relazione che un corpo vivente (quindi “animato” e non un cadavere) ha con il mondo.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 15 settembre 2018 -

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