Nel Fare Un’Analisi storica
della dialettica Anima-Corpo mi sembra che si stia abbandonando l’idea
dell’Anima! Me lo conferma un sacerdote che mi ha detto che oggi discuterne è
un non senso perché l’anima non esiste più! Rivelazioni dal confessionale?
Sarebbe il caso di credere al sacerdote, visto come la fede cristiana è
traballante Già Freud, penetrando nelle profondità del corpo alla scoperta
dell’inconscio, aveva praticamente ignorato l’idea junghiana della “realtà
dell’Anima”! Insomma una completa vittoria del Corpo sul grigio sfondo della
religiosità che si dissolve. L. Cairati
Sa Che Le Dico: che la religiosità non si dissolve
perché oggi ci si occupa più del corpo che dell’anima. E aggiungo che: se
neghiamo la realtà dell’anima forse riusciamo a raggiungere la nostra
“interiorità”, che non è una realtà come si crede sia l’anima, ma una
riflessione su di sé e sul nostro modo di essere al mondo. Occuparsi di sé,
anziché fuggire da sé come dal peggior nemico, è forse la strada più idonea per
recuperare etica e valori, un tempo affidati alla cura dell’anima attraverso
l’osservanza di una precettistica esterna mai interiorizzata e quindi fatta
nostra. “Anima”, inadatti, come da anni vado scrivendo, è una parola che la
tradizione ha reso venerabile: immortale nel linguaggio religioso, evocativa in
quello dei poeti, fondamentale in quello psicologico che senza l’anima non
saprebbe di che cosa occuparsi, essenziale nelle cose d’amore, dove nessuno
vuole essere amato solo per le fattezze del proprio corpo. Eppure a questa
parola non corrisponde assolutamente nulla. Se L’anima non esiste, esiste però
“l’idea di anima”. E qui dobbiamo persuaderci che non è interessante sapere se
un’idea è vera o falsa, ma se ha fatto o non ha fatto storia per tutto il tempo
in cui è stata creduta vera. E la storia, come si sa, è più decisiva per la
nostra vita di quanto non sia la logica che discetta sul vero e sul falso. La
nozione di anima non è nata nella tradizione giudaico-cristiana, ma nella
cultura greca a opera di Platone che, nell’intento di giungere a un sapere
universale e valido per tutti (condizione essenziale per un sapere
scientifico), ritenne che non ci si poteva affidare alle sensazioni corporee
che sono diverse da individuo a individuo, ma era necessario operare con idee,
numeri, misure, oggi diremmo con costrutti
mentali, di cui l’anima era depositaria per averli conosciuti un giorno
in un cielo sopra il cielo (iperuranio). La tradizione giudaica non disponeva
della nozione di “anima”, e ancora meno quella cristiana che ha il suo
fondamento nell’incarnazione, nel farsi carne della Parola (Et Verbum caro factum est – dice
Giovanni nel suo Vangelo). E i cristiani, nel loro atto di fede, il Credo, non
dicono di credere, nell’immortalità dell’anima, ma nella risurrezione dei
corpi. Fu Agostino a prelevare da Platone la parola “anima” – sottraendola allo
scenario in cui Platone l’aveva collocata per risolvere i problemi della conoscenza
– per inserirla nello ”scenario della salvezza”, inaugurando in tal modo il
tratto tipico dell’antropologia occidentale che pensa l’uomo diviso in anima e
corpo. Un corpo, corruttibile e perituro e un’anima incorruttibile e immortale.
Con Cartesio il dualismo psico-fisico si ripropone con la distinzione di res
cogitans e res extensa, dove il corpo non è come noi lo viviamo nel mondo della
vita, ma come risulta dall’esame condotto con le idee chiare e distinte che
all’epoca di Cartesio, erano quelle della fisica, e poi della chimica, oggi
della biochimica e infine della genetica. Così separate le competenze,
dell’anima si occuperà la religione e successivamente la psicologia, mentre del
corpo si occuperà la scienza medica dopo averlo ridotto a “organismo”. Per
poter operare la medicina ha bisogno di ridurre il corpo che io vivi e che
coincide con la mia soggettività, a un oggetto osservato dalle categorie che
presiedono il sapere biochimico e genetico. Non si tratta di due realtà, ma di
due modi di considerare il corpo come corpo vivente sollecitato dagli stimoli
che provengono dal mondo e impegnano in un mondo, e come corpo fisico che, come
tutti gli oggetti, è semplicemente nel mondo senza avere un mondo.
Approfondendo questa distinzione la fenomenologia e la psichiatria
fenomenologica hanno sostituito al paradigma anima-corpo su cui si è articolato
tutto il discorso religioso e psicologico, con il paradigma corpo-mondo, dove
per corpo non si deve intendere l’organismo visualizzato dalla scienza, ma il
proprio corpo vivente che è al mondo non come una cosa, ma come colui che
dischiude intorno a sé un mondo. E se proprio siamo affezionati alla parola “anima”,
ebbene chi non ne può fare a meno la mantenga pensando con questo termine non a
una realtà ma alla relazione che un corpo vivente (quindi “animato” e non un
cadavere) ha con il mondo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 15 settembre 2018 -
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