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mercoledì 12 settembre 2018

Lo Sapevate Che: I Mille sé e l'impossibile conoscenza dell'altro...


 Un giorno alla radio, durante un dibattito dedicato agli ultraottantenni sulle ricette per vivere bene e a lungo, ha chiamato una signora. “Mi chiamo Leda”, ha detto, “vengo da Rieti, ho compiuto 80 anni la scorsa settimana e sono felice. La sua voce emanava una gioia piena e sfrenata. “Non mi sono mai sposata e questo di certo ha reso tutto più semplice”. Ha scelto di non avere figli. “Quando avevo un dubbio, mi bastava fare una chiacchierata con le mie amiche madri per farlo andare via”, ha riso. Ha viaggiato in 38 paesi del mondo. Per lavoro? “Certo che no! Per puro piacere”. Il segreto per un’esistenza lunga e bella? “Godersi quello che si ha e, se c’è qualche soldo, spenderlo”. Infine ha salutato regalando un’ultima, sublime perla: “Io vivo alla giornata, come Rambo”. Ho ripensato spesso a Leda, i giorni successivi. Chi è? Una signora anziana, certo, perché l’anagrafe, nel suo modo implacabile, è un registro esatto che consente definizioni puntuali. Leda però, è anche uno spirito lieve, uno childfree, una single, un’amica, una viaggiatrice, Rambo. L’identità del nostro prossimo è un caleidoscopio che andrebbe ruotato più spesso per apprezzarne la varietà di forme e colori. L’economista marxista è anche mio marito e il padre dei miei figli. Per metà del suo tempo sta a Londra dove lavora. Quella che lui chiama casa lassù, l’ho visitata una volta sola alcuni anni fa. Per rispetto, fiducia e pigrizia ignoro chi frequenti e come impieghi il suo tempo libero quando è là. Per esorcizzare i fantasmi della distanza, ho inventato per lui Janet, una moglie inglese, di certo sguaiata, bevitrice di birra e divoratrice di patatine gusto aglio e aceto. Durante i vent’anni di pendolarismo tra Italia e Inghilterra è probabile che, parallelamente a quello che accadeva qui, anche lì la famiglia sia cresciuta. Pertanto, oltre a una consorte, nel quadretto che rappresenta la declinazione britannica dell’uomo della mia vita ho disegnato anche una discendenza: per nemesi l’ho immaginata esclusivamente al femminile, incarnata da tre graziose bambine bionde e slavate come la loro madre. Ho duplicato l0identità di mio marito per poter ridere delle mie paure, consapevole che il mio sguardo non sarà mai in grado di abbracciarlo per intero perché ognuno ha troppi sé per conoscerli tutti. È quello che ci rende creature poliformi e interessanti. La molteplicità è il nostro lato migliore. Chi sono io? Per i miei figli la mamma e poco altro, e va bene così. Ma sono anche una figlia, una sorella, una cugina, una vicina di casa, una che scrive, una che parla alla radio con Leda, una divoratrice compulsiva di cioccolata, un’avida ascoltatrice di audiolibri, una ciclista ma anche un’automobilista, una donna, una cliente del banco della frutta del mercato rionale, una frequentatrice della sgarrupata palestra di zona, la titolare delle utenze domestiche e di varie carte fedeltà, una lavoratrice autonoma, una tizia, come molte, che si sente inadeguata e in colpa per motivi non sempre fondati, qualcos’altro ancora negli occhi altrui. Sara era la mia nonna, area, ebrea, comunista, candida e rivoluzionaria nel suo amore per i libri e per la libertà che le regalavano. Quando morì, in casa sua trovai dei biglietti su cui aveva scritto dei pensieri con la sua grafia nitida e rotonda. Diceva che era stanca, che era triste e che l’angoscia le toglieva il fiato. Metteva nero su bianco una se stessa che teneva nascosta dietro il suo sorriso da bambina. Nell’osservare il prossimo ci fidiamo del nostro sguardo miope ed egocentrico e dell’anagrafe: misure inadeguate, incapaci di rendere giustizia all’infinitezza altrui.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica - 8 settembre 2018 -

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