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Rispetto: parola imbrattata dall’uso che ne fanno le mafie di tutto il mondo. Scimmiottate dalle bande giovanili più disastrate e feroci. Respecto. Lo gridano le Maras centroamericane quando pestano a sangue un nuovo o affiliato. Respect.Scandiscono gansta-rapper grassi, carichi di catene d’oro e circondati da ragazze che sculettano. Rispetto, fratello. Eppure questa parola violata e ridicolizzata continua a significare qualcosa di essenziale. La certezza di possedere, di diritto, un posto nel mondo e fra gli altri, ovunque uno si trovi. Persino nel nulla di un buco sottoterra o nel vuoto di una cella d’isolamento.
Invece chi si pone dalla parte della giustizia perde molto spesso anche quella certezza. Cosa gli resta? Può una scelta di libertà tramutarsi nella più radicale solitudine? Può un atto di giustizia essere ripagato con l’infelicità? Invisibili. Come fantasmi. Come le ombre dell’Averno. Ci penso spesso, dentro di me, cerco di fare i conti con chi mi accusa di aver avuto troppa attenzione pubblica. Niente sostituisce gli amici che si perdono, le città abbandonate, i colori, i sapori, le voci, l’uso di un corpo che può muoversi liberamente, camminare, sedersi su un muretto per guardare il mare, sentire il vento che entra nei vestiti. L’attenzione pubblica può pesare addosso, come una sorta di prigione. Ma è anche parente del rispetto. L’attenzione ti trasmette che il tuo esistere conta per gli altri. Ti dice che esisti.
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Roberto Saviano - ZeroZeroZero
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