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Il destino è scritto nel Dna. Così la pensava un medico napoletano che finalmente si era arreso alle richieste del figlio: gli avrebbe regalato un cane. Un cane di piccola taglia, d’espressione simpatica e di socievolezza inesauribile. Un giorno chiese al figlio di seguirlo sul balcone perché lì c’era una sorpresa che lo aspettava e mentalmente ripassò il discorso che si era preparato. Un cane è un essere delicato che bisogna rispettare ed educare, occorre essere pazienti ma severi, e soprattutto fargli capire che il capobranco è l’uomo. Libertà sì, ma con regole ferme. Premesse indispensabili, per di più se si tratta di un Jack Russel Terrier, razza usata a tutt’oggi dai cacciatori per stanare le volpi. Il temperamento coraggioso e vulcanico avrebbe costituito un impegno importante per suo figlio, obbligandolo a confrontarsi con una delle sfide cruciali per un cucciolo d’uomo: andare oltre le apparenze. Dietro agli occhietti languidi e le richieste di coccole e attenzioni del buffo cagnolino, c’era un carattere straripante che andava disciplinato.
“Ci siamo capiti?”
“Certo, papà.”
Le cose funzionarono. Il bambino puliva dove il cane sporcava, lo portava fuori, lo faceva giocare, gli impartiva i primi insegnamenti. “Stai!” “Seduto!” “Fermo!” Il padre era gonfio d’orgoglio, anche se il figlio starnutiva troppo spesso e aveva gli occhi arrossati. E’ medico e sa che quei sintomi sono inequivocabili: allergia al pelo di cane. La decisione si stava facendo inevitabile. Il cane, ormai entrato a pieno diritto nella famiglia, andava allontanato. Ma per il figlio la separazione sarebbe stata un dolore straziante che rischiava di vanificare tutto ciò che insieme avevano conseguito: l’educazione di un bambino attraverso l’educazione di un animale coetaneo. D’ora in avanti, avrebbe potuto colmare il vuoto aggrappandosi al dispiacere e al ricordo di una felicità infranta. Oppure avrebbe potuto superare quello strappo, sostenendo la prova più difficile per un cucciolo d’uomo: l’abitudine alla perdita.
Oggi quel cane è al servizio del Reparto cinofili della questura di Napoli: è lì che lavora l’amico di famiglia a cui è stato affidato. Si chiama Pocho, proprio come Lavezzi, e rappresenta il terrore dei pusher di Scampia e Secondigliano, la punta di diamante dell’unità cinofila impegnata nel contrasto della Camorra.
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Roberto Saviano – Zerozerozero
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