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sabato 26 novembre 2016

Lo Sapevate Che: Quel teatro che salva i ragazzi senza futuro...



Napoli, Nuovo Teatro Sanità. Dirò brevemente cosa significa tornare a Napoli per me e cosa significa tornarci in un luogo simbolico come il teatro diretto da Mario Gelardi al quartiere Sanità e animato da ragazzi che quotidianamente interagiscono con il quartiere, che appartengono al quartiere, che sono il quartiere al pari di chi il quartiere spaventa e domina. Il Nuovo Teatro Sanità rappresenta ciò che per me è attivismo sul territorio:: inclusione e progetto non individuale ma di gruppo. Il teatro è quel luogo in cui chiunque è accolto e nessuno è sbattuto fuori, nessuno è escluso. Non interessa come ha vissuto fino a un attimo prima di entrare e come vivrai dopo; non interessa il tuo orientamento politico, ma che quando varchi la soglia del teatro tu aderisca al progetto comune, che tu quel progetto comune lo rispetti. Il teatro è quel luogo in cui i personalismi, le carriere, non possono trovare spazio. E’ quel luogo in cui a nessuno verrà detto di tacere e nessuno avrà bisogno di megafoni perché ti educa all’ascolto. Calcare la scena insegna questo, a non mettere in ombra chi è accanto a te. Ma insegna anche che sei sulla scena, con la sola tua presenza , in quel momento sei protagonista, sei responsabile sarai uno dei tanti a cui verrà chiesto conto di ciò che accade. E quindi smetterai di urlare e crederai opportuno ragionare, perché solo così, in un territorio tanto complesso, farai la differenza. Non ti nasconderai quando chi calca la scena non ti è affine, ma andrai a spiegare le tue ragioni, cercherai punti di incontro e non fratture. Non inviterai al linciaggio (anche se magari figurato) di chi politicamente non ha le tue idee, ma ti renderai conto che in un contesto dove la violenza è la prima opzione, anche le figure retoriche devono essere usate con responsabilità. Attraverso il Nuovo Teatro Sanità è stato possibile mettere in luce i percorsi opposti di quegli adolescenti che credono di non avere un futuro. E aver incontrato le inchieste dei pm Henry John Woodcock e Francesco De Falco è stato trovarsi a studiare materiale pulsante che non è solo un vivido e agghiacciante affresco dell’attualità napoletana ma che, attraverso Napoli, racconta ciò che accade ovunque nel mondo. a chi mi dice: “Ma perché a Milano non c’è criminalità” rispondo certo che c’è e va raccontata. Quando, partendo dalle inchieste condotte dalla Dda di Milano, raccontai la presenza capillare delle organizzazioni criminali in Lombardia, un quotidiano raccolse firme contro di me e le pubblicò in prima pagina. Quindi tutto uguale, omertà a Napoli e omertà a Milano e non solo di chi è a contatto con le organizzazioni e non denuncia, ma anche di chi ritiene di avere le chiavi del cambiamento e che nessun altro può proporre strade alteenative. (..). “Quando I Ragazzi vanno a sparare pronunciano le frasi di Gomorra-La serie” : a nessuno di chi riporta questo, che sembra essere un dato di fatto, viene in mente che in Gomorra chi va a sparare usa espressioni che sono contenute nelle inchieste, nelle intercettazioni. Quindi non è la realtà a imitare la serie, ma per scrivere la serie abbiamo studiato ordinanze di custodia cautelare, letto centinaia di pagine di intercettazioni. E allora, ecco quali sono le conclusioni: chi vive a Napoli, chi fa politica a Napoli, chi racconta Napoli da Napoli, spesso non sa come parla chi spara, cosa dice, cosa mangia, quali abitudini ha, come è in famiglia, cosa scrive sui social, su whatsapp. E chi parla senza sapere sta facendo l’uomo o la donna col megafono, quell’essere che arringa le masse senza comprenderle. Quell’essere che si mischia alle masse credendosi in fondo superiore. Quando sono stato al Nuovo Teatro Sanità, sul palco è salito per pochi minuti Woodcock che ha pronunciato parole importantissime, eccole: “Mi piacerebbe vedere alla Sanità, oltre alle camionette dei carabinieri e della polizia, che fanno il loro lavoro e lo fanno bene, anche il Ministero dell’Istruzione, la scuola: ci vorrebbero i loro gazebo. Perché aprire una scuola significa chiudere un carcere, come diceva Victor Hugo”.
Roberto Saviano  - L’antitaliano www.lespresso.it  - L’Espresso – 20 Novembre 2016 -

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