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martedì 15 novembre 2016

Lo Sapevate Che: Norcia, il sisma e i ritardi San Benedetto ci guarda....



“Che poi noi alla fine ci siamo salvati grazie all’ora legale. Fosse successo ieri, saremmo stati dentro le chiese a fare i sopraluoghi e ci sarebbe venuto tutto addosso” mi dice un vigile del fuoco tra una scossa e l’altra. Sono le 13 circa davanti alla Porta principale d’accesso al centro storico di Norcia. e cinque ore fa, l’ennesima scossa più forte di tutte le precedenti degli ultimi giorni, ma anche degli ultimi trent’anni, ha fatto venire giù tanto, se non tutto. Il vigile era già a Norcia, perché il terremoto ci era già arrivato tre giorni prima , ma anche e soprattutto due mesi prima. E se l’aneddoto conferma quanto la vita sia sempre molto anche questione di culo, il vigile del fuoco lavora e rischia per evitare che sia sempre e solo la sorte a decidere il destino delle cose, città, animali e persone, vigili del fuoco esclusi. Anche obbligarmi a trovare un caschetto per entrare a vedere la zona rossa fa parte del suo lavoro. Qui a Norcia alla sorte credono in pochi. Territorio strutturalmente sismico e spiritualmente a prova di cataclisma fin da quando nacque San Benedetto, i nursini che incontro sembrano quasi più sconvolti dallo stupore altrui e dall’improvvisa, stavolta inevitabile ribalta mediatica, che dal dramma dei crolli alleggerito solo dalla consapevolezza di aver superato indenni la scossa delle scosse.”Il terremoto per noi è arrivato il 24 agosto, non domenica mattina”, mi dice Giuseppe, allevatore di maiali allo stato brado, al quale è crollata la casa il giorno del terremoto di Amatrice, e che da quel girono vive accampato con mezzi di fortuna con la sua e altre famiglie. “Il ‘’modello do Norcia’’ è stato sbandierato per non compromettere il nostro tessuto economico che si basa sul turismo” mi dice Caterina, studentessa universitaria anche lei in roulotte da due mesi, che mi porta in giro tra case e capannoni industriali crollati. “Però non si può nascondere l’evidenza, non si può lasciare una popolazione abbandonata, non si è stati in grado di organizzare un campo in due mesi per accogliere le persone. Qui ognuno si è organizzato per i cazzi propri” chiosa Caterina. E lo ha dovuto fare da due mesi, non da domenica mattina. Chi non ha avuto mezzi e risorse per farlo,è stato messo su pullman diretti agli hotel del Lago Trasimeno. Chi resta fa da sé, soprattutto i più giovani, per sé e per gli altri, al servizio dei pochi rimasti, ostinati a prescindere dai tempi e dalle priorità dei media e della macchina organizzativa preposta alle emergenze. Trovo il caschetto, entro con i pompieri e un torpedone di colleghi a vedere la distribuzione. San Benedetto, rimasto in piedi, sembra ammonire tutti per il ritardo.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica – 11 Novembre 2016

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