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martedì 29 novembre 2016

Lo Sapevate Che: Il robot morbido che fa il lavoro e si autodistrugge...



Robot che crescono e muoiono. Robot dotati di una pelle con capacità tattili ispirata a quella dei cefalopodi (molluschi marini come seppie e calamari) che emette segnali ottici e serve per il circostante. Robot  capaci di alimentarsi con materia organica, autosufficienti, che una volta raggiunto lo scopo si disintegrano senza lasciare tracce. “Lo so, può suonare come un’assurdità ma è esattamente a questo che stiamo lavorando”. Ioannis Ieropoulos, direttore del Bristol BioEnergy Centre, fa parte di un gruppo ristretto di studiosi che stanno mettendo a punto questa nuova tipologia detta “soft robot”. Sulle celle a combustibile microbiologiche lavoriamo da oltre quindici anni e ormai sono vicinissime ad arrivare sul mercato” spiega. “Saranno l’apparato digerente. I nostri robot troveranno materiale biologico, un semplice pezzo di legno ad esempio, e potranno farne elettricità per sostenersi. Saranno organismi sintetici, destinati a decontaminare un lago o un terreno digerendo e rendendo innocuo il fattore inquinante. Svolto il loro compito poi, essendo fatti di polimeri biodegradabili, semplicemente si dissolveranno”. La soft robotics è una disciplina nata attorno al 2009. Si contrappone alla robotica classica – che passa attraverso strutture  e giunti rigidi – impiegando materiali simili a quelli naturali. Sono robot da un lato più adattabili, dall’altro capaci di cambiare e magari di crescere secondo il compito che devono svolgere. In prima linea ci sono  l’Istituto italiano di tecnologia (Lit), i centri di ricerca di Bristol, alcuni istituti della Corea del Sud, L’università di Edimburgo, la scuola superiore di Sant’Anna di Pisa e Harvard. Questi ultimi due si sono fatti conoscere grazie a prototipi di polipi artificiali. “Noi invece facciamo robot ispirati alle radici delle piante” racconta Barbara Mazzolai, che coordina il Centro di microbiologica dell’Lit “con sensori che affondano via via nel terreno per sondarlo e monitorarlo”. I tempi di realizzazione? Non così lontani, almeno stando ai due scienziati. Nel caso di robot con celle a combustibile microbiologiche, appena qualche anno. “Le celle oggi sono poco efficienti, questo è il problema. Perciò, per non sprecare energia, abbiamo immaginato dei robot con  spostamenti passivi, portati dalle correnti del mare o dal vento, con alcune funzioni base di decontaminazione, che poi si disintegrano perché recuperarli sarebbe troppo dispendioso” continua la Mazzolai. L’altro problema è l’intelligenza artificiale, quella che permetterà a questi organismi di selezionare cosa ingerire per alimentarsi e depurare l’ambiente. “Ma se ci fossero i fondi tutto potrebbe diventare possibile” conclude Ieropoulos. Non un dettaglio di poco conto.
Jaime d’Alessandro – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 25 Novembre 2016

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