Tra uomo e tecnologia
Umberto Galimberti nasce a Monza il 3
maggio del 1942. È un filosofo, oltre che psicoanalista e docente molto
apprezzato in campo accademico, in ambito sia filosofico che antropologico, per
giunta autore di numerose pubblicazioni di divulgazione scientifica,
soprattutto in campo filosofico e saggistico.
La sua carriera di studioso e
divulgatore comincia verso la fine degli anni sessanta, materializzandosi di
fatto con incarichi e pubblicazioni di rilievo verso la metà degli anni '70. È
allievo di Emanuele
Severino, uno dei punti di riferimento della
filosofia italiana del dopoguerra, ma è sui testi di Karl Jaspers, oltre che
di Heidegger,
che Galimberti costruisce la propria forza filosofica, divenendone un vero e
proprio interprete e divulgatore a tutto spiano.
Il rapporto con Jaspers si può far
risalire ai primi anni '70, quando cominciano le loro frequentazioni. Da quel
momento l'intellettuale italiano si impegna anche in una mirabile opera di
traduzione delle opere del filosofo tedesco, favorendone la diffusione in
Italia.
Nel frattempo, poco più che trentenne,
Umberto Galimberti dà vita alla sua prima opera importante, la quale si
intitola "Heidegger,
Jaspers e il tramonto dell'Occidente". Il libro esce nel 1975 ed è l'esito
dei suoi studi non solo giovanili, ma rafforzati dalla sua frequentazione con
Jaspers, da cui prende le mosse nel suo celebre trattato di stampo chiaramente
filosofico. È la prima di tante indagini nella quale si evidenzia, in maniera
critica, la relazione che sussiste, tutt'altro che attivamente per quanto
concerne l'uomo, tra questi appunto, e la macchina o, per meglio dire, tra
l'essere umano contemporaneo e la cosiddetta società della tecnica.
In quest'opera, così come nelle
successive, il tributo alla lezione di Severino (e, dunque, di Heidegger)
è evidente: Galimberti sostiene già negli anni '70 l'uscita dal centro
dell'universo dell'animale umano, lontano dai dettami umanistici che ne
facevano un punto centrale di ogni chiave filosofica. Tutto, infatti, va
riconsiderato in relazione e in funzione della società tecnologica, sempre più
avviluppante.
L'anno dopo la sua prima
pubblicazione, nel 1976, Galimberti viene nominato professore incaricato di
antropologia culturale per l'Università Ca' Foscari di Venezia. Fino al 1978
insegna filosofia nel liceo Zucchi di Monza, attività che, per l'aumentare
degli impegni accademici e delle pubblicazioni, deve lasciare proprio in
quell'anno.
Nel 1979 esce un altro
libro importante, nel quale è evidente anche il suo debito nei riguardi di
un'altra disciplina a lui cara: la psichiatria. Il titolo è "Psichiatria e
Fenomenologia", cui segue solo quattro anni dopo, nel 1983, un altro
lavoro specifico, "Il corpo". La tecnica, in senso lato, diviene
punto focale e interpretativo per guardare l'Occidente, posta chiaramente al
centro di tutto il discorso filosofico dello studioso lombardo, inteso come
luogo della razionalità assoluta, tale da liberare il campo dalle passioni e
dalle pulsioni, nella quale è l'organizzazione a dettare il tempo di ogni cosa.
Anche grazie alla sue
pubblicazioni, nell'ateneo veneziano Galimberti diventa professore associato di
filosofia della storia a partire dal 1983. Passeranno circa sedici anni prima
che, nel 1999, diventi ordinario di filosofia della storia e di psicologia
dinamica.
Nel 1985 dopo aver dato
alle stampe il libro "La terra senza il male. Jung dall'inconscio
al simbolo", datato 1984, diventa anche membro ordinario
dell'International Association for Analytical Psychology.
A chiudere la prima
parabola di pubblicazioni poi, nel 1987, è un altro libro molto interessante,
ancora oggi oggetto di consultazioni e di critiche, non sempre favorevoli:
"Gli equivoci dell'anima".
Da questo momento in poi,
sino al decennio del 2000, Umberto Galimberti si fa conoscere anche dal grande
pubblico dei lettori di giornali, collaborando con diverse testate, come il
Sole24 Ore e La Repubblica. Tiene rubriche, scrive
brevi rapporti di saggistica di ampia diffusione, risponde a domande di tipo
psicologico e filosofico, dando la propria impronta personale su diverse
questioni legate alla quotidianità.
Per il giornale fondato
da Eugenio Scalfari,
con cui avrà un rapporto più duraturo e fruttuoso, oltre a scrivere anche di
cultura e attualità, viene chiamato a ricoprire il ruolo di curatore della
rubrica epistolare dell'inserto "D, la Repubblica delle donne", uno
dei più seguiti a livello nazionale.
Nel 2002, dopo aver ripreso
le pubblicazioni con il libro "L'uomo nell'età della tecnica", che
riassume e amplia le proprie considerazioni di un decennio prima, viene
insignito del premio internazionale "Maestro e traditore della
psicanalisi". L'anno dopo, viene nominato vicepresidente dell'Associazione
Italiana per la Consulenza Filosofica "Phronesis"; e tre anni dopo,
nel 2006, diventa docente alle Vacances de l'Esprit a Soprabolzano, in
provincia di Bolzano.
È datato 2008 invece
l'inizio di una serie di critiche a molte sue opere, accusate, secondo
un'inchiesta mossa dal quotidiano Il Giornale, di aver copiato parti imponenti
da altri autori e filosofi a lui coevi.
Nel libro "L'ospite
inquietante", per ammissione dello stesso Galimberti, sarebbe stato
violato il copyright dell'autrice Giulia Sissa.
Dopo questo episodio, anche
il filosofo Giulio Zingari avrebbe reclamato il suo, all'interno del libro dal
titolo "Invito al pensiero di Heidegger",
datato 1986. Anche qui, il docente lombardo avrebbe ammesso i propri debiti
intellettuali.
La querelle con il
quotidiano di Berlusconi sarebbe
continuata. Sul Giornale infatti, dopo qualche mese, sono comparse altre accuse
sull'operato di Galimberti, colpevole, secondo il foglio, di aver copiato e
plagiato altri autori anche in occasione delle sue pubblicazioni presentate
all'ateneo di Venezia, per l'ottenimento della cattedra di filosofia, intorno
al 1999.
Nel giugno del 2010 infine,
anche la rivista "L'Indice dei libri del mese" pubblica online un
nuovo articolo nel quale viene criticato aspramente uno dei lavori più
apprezzati del filosofo di Monza, uscito proprio in quel periodo e dal titolo "I
miti del nostro tempo". Secondo la rivista, il saggio sarebbe composto per
circa il suo 75% da un "riciclaggio" di suoi scritti precedenti,
mentre la restante parte non sarebbe altro che una nuova stesura, ben
rielaborata, di pensieri e paragrafi presi indebitamente in prestito da altri
autori e colleghi dello stesso Galimberti.
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