Messaggio dei Vescovi per la Festa del 1° maggio 2020
- Il lavoro in un’economia sostenibile. «Il Signore Dio pose l’uomo nel
giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15)
Messaggio dei Vescovi per la Festa del 1° maggio 2020 Il
lavoro in un’economia sostenibile «Il Signore Dio pose l’uomo nel giardino di
Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15) L’emergenza seguita alla
diffusione del Covid-19 ci sta insegnando che le vicende dell’esistenza
rimescolano le carte a volte in maniera improvvisa, rivelando la nostra realtà
più fragile. Ci ha fatto comprendere quanto è importante la solidarietà,
l’interdipendenza e la capacità di fare squadra per essere più forti di fronte
a rischi ed avversità. L’emergenza sanitaria porta con sé una nuova emergenza
economica. Nulla sarà come prima per le famiglie che hanno subito perdite
umane. Nulla sarà come prima per chi è stremato dai sacrifici in quanto
operatore sanitario. Nulla sarà come prima anche per il mondo del lavoro, che
ha prima rallentato e poi ha visto fermarsi la propria attività. Già si contano
danni importanti, soprattutto per gli imprenditori che in questi anni hanno
investito per creare lavoro e si trovano ora sulle spalle ingenti debiti e
grandi punti interrogativi circa il futuro della loro azienda. Nulla sarà come
prima per i settori che sono andati in sofferenza e vivono l’incertezza del
domani: si pensi al turismo, ai trasporti e alla ristorazione, al mondo della
cooperazione e del Terzo settore, a tutta la filiera dell’agricoltura e del
settore zootecnico, alle ditte che organizzano eventi, al comparto della
cultura, alle piccole e medie imprese che devono competere a livello globale e
si vedono costrette a chiusure forzate, senza poter rispondere alla domanda di
beni e servizi. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, comprendiamo il serio rischio
che grava su molti lavoratori e molte lavoratrici. Nulla sarà come prima per
tutte le realtà del Terzo settore e particolarmente quelle afferenti al mondo
ecclesiale. Già in queste settimane abbiamo registrato gravi difficoltà nel
sostenere gli oneri economici di queste imprese (scuole paritarie, case di
riposo, cooperative sociali …), soprattutto nei confronti di coloro che vi
lavorano. Per altro, non avendo finalità di lucro, le loro attività si
svolgono, in gran parte, con margini di sicurezza economica molto ridotti. Non
solo i prossimi mesi, ma il loro stesso futuro, rischia di essere pregiudicato.
È con questa preoccupazione nel cuore che ci apprestiamo a celebrare la Festa
del 1° maggio di quest’anno. 1. Il lavoro «in crisi» In un sistema che - quando
mette al centro l’esclusivo benessere dei consumatori e la crescita dei
profitti delle imprese – è già problematico per sua natura, la crisi sanitaria
e quella economica gravano sensibilmente sulla qualità e sulla dignità del
lavoro. Si generano purtroppo una quantità rilevante di persone «scartate». Le
dimensioni del problema non sono più percepibili correttamente con le
tradizionali statistiche di occupazione e disoccupazione, perché il lavoro
anche quando non manca, spesso è precario, povero, temporaneo, lontano da quei
quattro attributi definiti da papa Francesco: libero, creativo, partecipativo,
solidale (EG 192). Il problema della qualità e della dignità del lavoro si
intreccia con altre dimensioni di insostenibilità tipiche dei nostri giorni.
Già prima dell’emergenza del CoVid-19, lo svolgersi degli eventi è stato un 2
continuo susseguirsi di emergenze sul fronte del lavoro e dei cambiamenti
climatici. Si tratta di emergenze correlate, al punto che in alcuni casi (come
per l’ex Ilva di Taranto) prospettano l’ingiusto dilemma di dover sacrificare
un problema per cercare di risolvere l’altro. In realtà, quello che l’attualità
ci sta chiedendo di affrontare, senza ulteriori ritardi o esitazioni, è una
transizione verso un modello capace di coniugare la creazione di valore
economico con la dignità del lavoro e la soluzione dei problemi ambientali
(riscaldamento globale, smaltimento dei rifiuti, inquinamento). L’epidemia del
coronavirus ha rafforzato la consapevolezza della nostra debolezza con un
drammatico shock che ci ha scoperti nuovamente vulnerabili e fortemente
interdipendenti ciascuno dall’altro, in un pianeta che è sempre di più comunità
globale. «Nessuno deve perdere lavoro per il coronavirus» è stato lo slogan
ripetuto all’indomani della crisi: è fondamentale che questo appello abbia
successo, evitando le conseguenze negative di breve e medio termine. Sono
auspicabili misure di aiuto a famiglie ed imprese che sappiano fare attenzione
a proteggere tutti, soprattutto le categorie solitamente più fragili e meno
tutelate come i lavoratori autonomi, gli irregolari o quelli con contratti a
tempo determinato. Il problema per i lavoratori più esposti non è solo quello
della perdita del salario o dell’occupazione, ma anche quello delle condizioni
sul luogo di lavoro. Gli operatori nella manifattura, nel settore alimentare e
della logistica hanno assicurato anche nei giorni della crisi beni e servizi
necessari per il resto del paese, lavorando in condizioni difficili e non
sempre di sicurezza. Per non parlare degli eroi di questa emergenza, il
personale medico e sanitario, professionale e volontario, che, mettendo a
rischio la propria vita, non manca di garantire le cure alle vittime
dell’epidemia. Le emergenze dei nostri giorni sono la spia di un problema più
profondo che riguarda l’orientamento della persona. L’orizzonte è quello
dell’ecologia integrale della Laudato si’, che riprende e attualizza il
messaggio della Dottrina sociale della Chiesa per far fronte alle nuove sfide.
Abbiamo bisogno di un’economia che metta al centro la persona, la dignità del
lavoratore e sappia mettersi in sintonia con l’ambiente naturale senza
violentarlo, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. 2. Verso un’economia sostenibile
Costruire un’economia diversa non solo è possibile, ma è l’unica via che
abbiamo per salvarci e per essere all’altezza del nostro compito nel mondo. È
in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull’umanità. Per ridare forza e dignità
al lavoro dobbiamo curare la ferita dei nostri profondi divari territoriali.
Non esiste una sola Italia del lavoro, ma «diverse Italie», con regioni e zone
vicine alla piena occupazione – dove il problema diventa spesso quello di
umanizzare il lavoro, vivendo il riposo della festa – e regioni dove il lavoro
manca e costringe molti a migrare. Dobbiamo altresì avere il coraggio di
guardare alla schizofrenia del nostro atteggiamento verso i nostri fratelli
migranti: sono sfruttati come forma quasi unica di manovalanza, a condizioni di
lavoro non dignitose in molte aree del Paese. Dobbiamo saper trasformare le
reti di protezione contro la povertà – essenziali in un mondo dove creazione e
distruzione di posti di lavoro sono sempre più rapidi e frequenti – in
strumenti che non tolgano dignità e desiderio di contribuire con il proprio
sforzo al benessere del Paese. L’impegno sociale, politico ed economico per un
lavoro degno non passa attraverso la demonizzazione del progresso tecnologico,
che può essere invece preziosissimo alleato per sconfiggere più rapidamente
un’epidemia o aiutarci a coltivare relazioni affettive e di lavoro a distanza,
in un momento di necessaria limitazione delle nostre libertà di movimento. In
ogni epoca della storia umana le rivoluzioni tecnologiche hanno sollevato i
lavoratori dalla fatica e da mansioni ripetitive e poco generative, aumentando
la creazione di ricchezza con la tendenza a concentrarla nelle mani dei pochi
proprietari delle nuove tecnologie. Sono state le politiche fiscali progressive
a redistribuire la maggiore 3 ricchezza creata in occasione delle rivoluzioni
tecnologiche nelle mani di molti, trasformandola in domanda diffusa e facendo
nascere nuovi beni e servizi, attività, mestieri e professioni. Non è il
progresso scientifico e tecnologico che «ruba» il lavoro, ma l’incapacità delle
politiche sociali ed economiche di redistribuire la maggiore ricchezza creata.
3. Il compito delle istituzioni e di ciascuno In un mondo complesso come il
nostro, il cambiamento non nasce con un atto d’imperio. Infatti, i
rappresentanti delle istituzioni, anche quando sono animati dalle migliori
intenzioni, si muovono in uno spazio pieno di limiti e vincoli e dipendono in
modo cruciale da consenso e scelte dei cittadini e dai comportamenti delle
imprese. Ciò vale per affrontare i problemi del tempo ordinario e quelli del
tempo straordinario dove il successo del contenimento dell’epidemia passa
attraverso la responsabilità sociale dei cittadini e i loro comportamenti. La
cittadinanza attiva e l’impegno di tutti noi in materia di stili di vita e di
capacità di premiare con le nostre scelte prodotti e imprese che danno più
dignità al lavoro sono oggi una leva di trasformazione che rende anche la
politica consapevole di avere consenso alle spalle, quando si impegna con
decisione a promuovere la stessa dignità del lavoro. La sfida che abbiamo di
fronte è formidabile e richiede l’impegno di tutti. C’è una missione comune da
svolgere nelle diverse dimensioni del nostro vivere come cittadini che
partecipano alla vita sociale e politica, come risparmiatori e consumatori
consapevoli, come utilizzatori dei nuovi mezzi di comunicazione digitali.
Questo chiede a tutti di dare un contributo alla costruzione di un modello
sociale ed economico dove la persona sia al centro e il lavoro più degno. Così,
senza rimuovere impegno e fatica, si può rendere la persona con-creatrice
dell’opera del Signore e generativa. Nel cammino che la Chiesa italiana sta
facendo verso la 49ª Settimana Sociale di Taranto (4-7 febbraio 2021) siamo
chiamati a coniugare lavoro e sostenibilità, economia ed emergenza sanitaria.
L’opera umana sa cogliere la sfida di rendere il mondo una casa comune. I
credenti possono diventare segno di speranza in questo tempo. Capaci di abitare
e costruire il pianeta che speriamo. LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI
SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE Roma, 5 aprile 2020
https://lavoro.chiesacattolica.it/1-maggio-2020-giornata-per-il-lavoro
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