La
storia del neozelandese Edmund Hillary e del nepalese Tenzing Norgay, che
sessant'anni fa arrivarono per primi sulla vetta della montagna più alta del
mondo
Il 29 maggio 1953 due esperti
alpinisti, il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay,
raggiunsero la vetta dell’Everest, la montagna più alta al mondo – qui si vede
per intero, molto bene, in due miliardi di pixel – che fa
parte della catena dell’Himalaya, al confine tra Cina e Nepal. Era la prima
volta che una spedizione riusciva nell’impresa: i due si fermarono sulla vetta
dell’Everest per circa 15 minuti, prima di essere costretti a iniziare la
discesa a causa della mancanza di ossigeno.
La spedizione
fu organizzata e finanziata dal Joint Himalayan Committee britannico, e fu
molto importante anche per il prestigio che il suo successo garantì al governo
di Londra. L’impresa di Hillary e Norgay fu poi raccontata in diversi libri e
in occasione del suo sessantesimo anniversario è stata celebrata molto in tutto
il mondo, in particolare dalla stampa britannica (il sito del Telegraph ha
pubblicato una bella e completa infografica interattiva che spiega
chi furono i membri della spedizione, quale percorso fecero per raggiungere la
vetta, molte foto e le trascrizioni di alcuni estratti dal diario di Hillary).
La spedizione di
Hillary e Norgay era formata da 15 alpinisti ed era guidata dal colonnello
britannico John Hunt, un alpinista che a quel tempo lavorava nel quartier
generale della NATO in Europa (conosciuto con la sua sigla in inglese, SHAPE).
Hunt era stato invitato a diventare capo della spedizione, in maniera piuttosto
inaspettata, dal Joint Himalayan Committee, formato dall’Alpin Club e dalla
Royal Geographical Society. Si trattava di un’occasione importante per il Regno
Unito, l’ultima che gli sarebbe stata concessa da lì a un paio d’anni almeno: il
governo nepalese, infatti, dopo avere concesso per molti anni l’accesso al
monte Everest dal Nepal solo ai britannici, nel 1952 aveva dato l’autorizzazione
a due spedizioni svizzere. Per i due anni successivi erano già in programma
altre spedizioni, che avrebbero escluso i britannici almeno fino al 1956.
Il gruppo
guidato da Hunt si riunì in Nepal verso metà febbraio, a Katmandu dormivano
nell’ambasciata britannica, visto che a quel tempo nella capitale del Nepal non
c’era nemmeno un hotel che potesse ospitare gli stranieri. Ai primi di marzo,
venti sherpa scelti dal Club dell’Himalaya arrivarono a Katmandu per aiutare
gli uomini della spedizione a trasportare la loro attrezzatura fino al luogo di
partenza: a capo del gruppo degli sherpa c’era Tenzing Norgay, che aveva già
tentato di scalare l’Everest altre sei volte, e che era considerato il miglior
sherpa alpinista di tutto il mondo. Tra il 26 e 27 marzo il gruppo arrivò
a Tengboche, un villaggio nel Khumbu, nel nord-est del Nepal, situato a
3.867 metri di altezza. I membri della spedizione rimasero a Tengboche fino al
17 aprile per prepararsi in vista della scalata vera e propria.
Come
raccontarono poi alcuni membri del gruppo, la scalata fu difficile e faticosa:
furono imbastiti diversi campi base, e la salita fu molto lenta. Una prima
coppia di alpinisti, formata da Tom Bourdillon e Charles Evans, fu scelta
dal capo spedizione per raggiungere la vetta: il 26 maggio i due
riuscirono ad arrivare a soli 100 metri dalla cima, ma furono costretti a
tornare indietro esausti per mancanza di ossigeno. Il giorno successivo,
Hillary e Norgay decisero di fare un secondo tentativo: salirono dal percorso
del Colle Sud, raggiungendo la vetta alle 11.30 di quello stesso giorno, a
8.848 metri di altezza (ma è una
misura contestata). Nei 15 minuti in cui rimasero in cima, scattarono delle
fotografie, seppellirono alcuni dolci e piantarono una piccola croce in mezzo
alla neve.
Prima della
spedizione del 1953 c’erano stati diversi tentativi di scalare l’Everest:
nessuno di questi ebbe successo e molti degli scalatori morirono provandoci. Da
allora, invece, moltissime persone ci sono riuscite: in totale sono più di
3.500 gli alpinisti che hanno raggiunto la cima dell’Everest, 234 solo
nell’ultimo anno. Dal 1953 ci sono stati diversi
altri record e molte prime volte per chi ha raggiunto la cima
dell’Everest: Reinhold Messner, per esempio, fu il primo a scalare la montagna
da solo senza ossigeno nel 1980; il 7 ottobre del 2000 il 38enne sloveno
Davorin Karnicar sciò per 3.657 metri giù da una parete della montagna;
all’inizio di maggio di quest’anno l’ottantenne giapponese Yuichiro Miura è
stata la persona più vecchia di sempre ad arrivare in vetta all’Everest, mentre
la più giovane era stata il
15enne statunitense Jordan Romero, nel maggio 2010.
Nonostante la
tecnologia e la conoscenza della montagna siano migliorate, i pericoli per chi
scala l’Everest sono rimasti. Negli ultimi
anni, in particolare, gli alpinisti sono stati costretti ad attendere delle ore
per l’affollamento che si era creato sui percorsi verso la vetta: nel 1996
un’improvvisa bufera di neve aveva colpito un gruppo di alpinisti che
attendevano il loro turno, provocando la morte di otto persone (quell’episodio
fu poi raccontato dal libro “Thin Air” di Jon Krakauer). Inoltre, gli alpinisti
hanno bisogno di una grande quantità di attrezzi, che spesso finiscono per
essere abbandonati sul percorso e sulla vetta. Per questo i due percorsi
standard, quello della cresta nord-est e quella della cresta sud-est, sono
diventati molto frequentati e anche sporchi e pieni di spazzatura.
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