All’alba del 19 agosto 1936 Federico Garcia Lorca
venne prelevato da miliziani fascisti dalla cella della prefettura di Granada
dove era stato rinchiuso. Lo fucileranno lungo la strada che va da Viznar a
Alfacar. Il motivo ufficiale: “Socialista, massone, praticava omosessualità e
altre aberrazioni”. Quando perdo i punti di riferimento anche io pratico
l’aberrazione della letteratura. Quando avverto a necessità di cercare la
distanza per poi immergermi nel quotidiano con più lucidità, è alla letteratura
che faccio ricorso. “Aberrazione” la chiamavano i fascisti spagnoli e
“aberrazione” la definisco anche io, sottraendo tutto l’orrido significato
moralista e riprendendo l’etimologia latina “ab errare”: spostarsi dalla via
conosciuta. Provo a immaginare quando è iniziata la
mia scelta di spostarmi dalle vie solite, quali i primi libri. Ebbene non sono
stati i libri che ho scelto quelli che mi hanno cercato, reclamato da uno
scaffale, dietro una vetrina (i lettori compulsivi sanno che sono i libri a
sceglierti e raramente accade il contrario). Dicevo: i primi libri li ho
ricevuti, ereditati. I primi libri che ricordo da bambino sono racconti e
fiabe. Le raccolte di Gianni Rodari sono un’incredibile miniera per i bambini,
per la forma che hanno, che è spesso forma perfetta. I testi brevi delle
filastrocche e le loro rime appagano la ricerca di ordine e coerenza che
nell’infanzia diventa quasi un’epifania. I racconti chiusi, brevi, mi hanno
abituato ad andare fino in fondo, trovando nella brevità lo stimolo a portare a
termine l’impresa. La prima cosa che ricordo nella lettura è la soddisfazione
di finire un testo che, quando breve, mi evitava mortificazioni e scoramenti. L’approccio alla lettura per bambini deve
essere una sorta di innamoramento: ci si deve innamorare della propria capacità
di portare a termine una sfida che all’inizio può apparire titanica. Ricordo la
mia passione per tre volumoni enormi di fiabe pubblicate da Einaudi. Fiabe
italiane curate da Calvino, fiabe francesi curate da Perrault e fiabe russe
curate da Afanas’ev. Le italiane mi raccontavano la nostra storia, quelle
francesi avevo l’impressione di conoscerle da sempre. Ma le fiabe russe furono
per me una scoperta incredibile; un mondo che si apriva alla mia fantasia, un
mondo fatto di lucci dorati e magici pronti a esaudire desideri, di poveri Ivan
(i nostri Giovannino) che facevano della loro ingenuità l’unica arma per
affrontare il mondo. Queste fiabe funsero per me a giusto contraltare
all’armonia offerta da Rodari. Erano racconti a volte cruenti, che parlavano di
terribili ingiustizie e sanguinose punizioni, mi davano letture del mondo e dei
rapporti di potere che a me sembravano irreali, ma che poi avrei riscoperto
come rispecchiassero fedelmente il mondo in cui viviamo, un mondo che è sempre
uguale a se stesso. La strada che mi ha
portato a dipendere dalla lettura, come gli esseri viventi dipendono da aria, acqua
e cibo, è lastricata di libri trovati per caso, di storie impostemi negli anni
di scuola, di libri con copertine poco affascinanti, di pubblicazioni concepite
per giovani lettori, ricche di note e aiuti all’interpretazione, strumenti che
talvolta viviamo come un piccolo sopruso, ma che negli anni si trasformano
nella malta che tiene insieme i nostri pensieri, le nostre opinioni. Passione
per la lettura non è passione per l’erudizione: quello che i libri possono
darci non lo danno per accumulo. La sospensione, dal flusso del quotidiano,
l’aberrazione scandalosa del libro risiede nella capacità di avere aggiunto
vita, alla vita, differente punto di osservazione, distanza e diottria,
possibilità di aver capito ciò che prima rimbalzava solo sopra la cute. Garcia Lorca, inaugurando la biblioteca del suo
paese- Fuente Vaqueros – descrisse la necessità quotidiana dei libri al di là
del censo, del lavoro, del ruolo, dell’identità; la necessità del libro
all’essere umano in quanto tale. E lo disse come nessuno aveva fatto sino ad
allora. “Non di solo pane vive l’uomo. Io, se avessi fame e mi trovassi
invalido in mezzo alla strada, non chiederei un pane; ma chiederei mezzo pane e
un libro. (…) Libri, libri! È questa una parola magica, che equivale a dire:
amore, amore! Una cosa che i popoli dovrebbero chiedere, così come chiedono il
pane e come invocano la pioggia per i loro campi seminati”.
Roberto Saviano –
L’Antitaliano – L’Espresso – 26 agosto 2018 -
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