“Con la Vergine in prima fila e Bocca
di Rosa poco lontano/ si porta a spasso per il paese l’amor sacro e l’amor
profano”. Ho sempre pensato che Fabrizio De André, scrivendo i versi finali di Bocca di rosa, il su capolavorodel1967,
avesse in mente il celeberrimo quadro di Tiziano della Galleria Borghese. Se è
così, il “paese non è solo quello ligure di Sant’Ilario di cui narra De André,
ma è anche il paesaggio meraviglioso, lo struggente brano di Italia, in cui
Tiziano fa sedere le sue due donne misteriose. Il titolo, ormai consacrato di Amor sacro e amor profano deriva da una
lettura allegorica attestata almeno dal tardo Seicento, che non si discosta poi
troppo da quello che è probabilmente il senso originario del quadro. Tiziano lo
dipinse quando aveva circa venticinque anni, e uno stemma sul sarcofago ha
permesso di sapere che il committente fu il notabile veneziano Niccolò Aurelio,
che nel 1514 si sposò con Laura Bargarotto. E il quadro è una sorta di
meditazione vsiva sul matrimonio: la donna seduta alla nostra sinistra è
vestita come una sposa (l’abito bianco, le maniche una rossa e una bianca, la
corona di mirto). Mentre l’altra, tutta nuda, indica il cielo e ha un gran
manto rosso e solo un piccolo panno bianco a coprirle l’inguine. Le due Veneri
di cui parla tutta la tradizione che, nel Rinascimento, legge e rilegge
Platone. L’inversione dei colori e l’estrema somiglianza dei volti aiuta a
comprendere che si tratta delle due estremità di un’unica forza: quella
dell’Amore. Da una parte l’amore coniugale, costruttivo, ordinato, legato al
mondo di quaggiù (la donna vestita), dall’altra l’amore come forza primordiale
che lega la terra al cielo e governa ogni cosa con la passione, ma anche con la
nuda purezza dell’idea: profano dunque il primo, sacro il secondo. Due forme di
amore che non si possono e non si debbono separare: ma semmai mescolare con
sapienza, come fa il Cupido che appunto è impegnatissimo a mischiare le acque
della fontana. Un amore da dominare, certo: perché è sfrenato come il cavallo
che un Tiziano olimpico dipinge nel fregio del sarcofago antico riusato come
fonte. Un brano strepitoso: il più ispirato commento ai cavalli fidiaci del
fregio del Partenone. Un sarcofago, sì, perché “forte come la Morte e L’Amore”.
E una vita consacrata all’amore, tra un’alba e un tramonto da togliere il fiato,
nel giardino più bello del mondo.
Tomaso
Montanari – Cultura – Ora d’Arte – Il Venerdì di La Repubblica – 27 luglio 2018
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