Dopo Aver
Letto la lettera
di Lorenzo (2 giugno scorso), che reagiva all’indifferenza dei suoi amici a
proposito delle tragedie che accadono in Siria, mi ha consolato il fatto che
non tutti i ragazzi sono indifferenti a ciò che succede di brutto attorno a
noi. Io, 70enne portatrice di protesi bilaterale alle anche e prossimo
intervento protesi spalla aggravata da artrite reumatoide, in guerra con una
depressone subdola, spesso, quando leggo di questi conflitti interminabili,
dove a soffrire sono quasi sempre i bimbi delle persone più deboli, giro la
pagina e non voglio leggere niente d’altro. Senza È indifferenza la mia? No, è autodifesa
per sopravvivere e penso che tanti facciano così. Tutto questo mi fa stare male
e, oltre a dare offerte ai medici senza frontiere che portano un po' di aiuto
umanitario, che altro possiamo fare privatamente. Mi sembra proprio di fare
come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia. Laura Campanini campanini@gmail.com
Non ai colpevolizzi. Quando si arriva a una certa età la nostra psiche non
è più in grado di reggere dosi eccessive di sofferenza: o perché si è già
sofferto troppo durante la propria esistenza, o per non toccare con mano la
propria impotenza a offrire un qualsiasi rimedio alla sofferenza dei disperai
della terra. Ricordo mia madre che dopo aver visto le atrocità della seconda
guerra mondiale, spegneva la televisione (allora in bianco e nero) quando
andava in onda qualche servizio che documentava le atrocità nei campi di
concentramento nazisti. “Non ce la faccio a vedere queste cose” era la sua
giustificazione. Non si tratta di “indifferenza” e neppure di viltà dovuta al
fatto di “nascondere come gli struzzi la testa sotto la sabbia “, ma, come lei
scrive, “di autodifesa per sopravvivere”, non essendo noi così onnipotenti,
soprattutto in età avanzata, per farci carico di tutti i problemi del mondo che
giustamente ogni sera i telegiornali ci documentano e ci illustrano. La nostra
psiche, inoltre non è in grado di reagire al mondo, ma solo al mondo
“circostante quello che abitiamo da vicino, che ci sollecita, ci impegna e ci
chiede di reagire. Così ad esempio se muore un nostro familiare soffriamo e talvolta
piangiamo sconsolati, se muore un nostro vicino di casa facciamo le
condoglianze, se un servizio televisivo ci dice che nel mondo muoiono otto
bambini al secondo, questa notizia finisce per essere vissuta solamente come
una terribile statistica. Non perché siamo insensibili, indifferenti o cinici,
ma perché la nostra psiche non oltrepassa i confini della prossimità. Questa è
anche la ragione per cui se uomini, donne e bambini muoiono per guerre e
persecuzioni, per fame e per sete, nelle loro terre lontano da noi li
commiseriamo e proviamo anche un sentimento di pietà, ma poi se vengono da noi
e si fanno prossimi a noi commiserazione e pietà scompaiono e al loro posto
subentra inquietudine, sospetto e diffidenza. Questo modo di reagire della
nostra psiche denota una sorta di atrofia del nostro sentimento, che si
commuove quando le tragedie sono lontano da noi ma cessa di commuoversi se i
sopravvissuti a quelle tragedie arrivano da noi. Per questo è necessaria
un’educazione sentimentale a partire dall’infanzia, quando si tende a
nascondere ai bambini i mali, le tragedie, i lutti, dando loro una falsa
lettura della realtà, e rendendoli impreparati quando la loro vita si presenta
con quelle caratteristiche, e indifferenti quando queste figure negative
dell’esistenza riguardano gli altri. Mi scrive renato Pierri (renpierri@gmail.com) che, in occasione di uno spettacolo dove venivano letti testi di storie
vere di violenze sessuali, davanti a spettatori rimasti muti e agghiacciati fin
dai primi minuti, dopo essersi chiesto perché accadono ancora nel nostro Paese
queste cose tremende, ha concluso: “Forse la risposta è semplice perché la
maggior parte della gente, donne comprese, è indifferente. Sono moltissimi a
dire che sono cose tremende, ma pochi le sentono come cose tremende. Il
femminicidio per molti è un grave problema, ma pochi lo sentono come un grave
problema”. Allora se la nostra psiche è per natura limitata a quanto accade
nelle nostre prossimità e la nostra partecipazione si arresta non appena si
supera una certa grandezza, occorre educare il nostro sentimento e, portarlo
all’altezza del mondo attuale che, con il progresso dei mezzi di comunicazione,
è diventato molto più grande del mondo dei nostri nonni, e di conseguenza anche
il nostro sentimento non può sottrarsi a un’adeguata possibilità di
partecipazione se non vogliamo che, senza la nostra capacità di reazione, il
“terribile” abbia via libera.
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