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lunedì 27 agosto 2018

Lo Sapevate Che: Che cos'è la verità?...


In Relazione all’Argomento che la scienza, a differenza della fede, non ha bisogno di testimonianza, lei sa meglio di me che i dati statistici possono essere manipolati e interpretati in base all’idea che si vuole dimostrare. Dato che gli scienziati costruiscono le loro verità in laboratorio, in quanto nella realtà entrano in gioco un’infinità di variabili che è impossibile prendere tutte in considerazione, le chiedo: c’è più verità nella testimonianza di chi ha fede o nella statistica delle probabilità della scienza?   mt256@libero.it 

Il Lettore Si riferisce a una lettera in cui si discuteva del valore della testimonianza, che è necessaria per chi professa una fede, mentre non lo è per chi sostiene una teoria scientifica, perché a differenza del contenuto di fede, la teoria scientifica poggia su prove, argomenti e sperimentazioni. Questa è anche la ragione per cui, come sostiene Karl Jaspers, Giordano Bruno non poteva ritrattare e sue teorie perché, non essendo dimostrate ma solo intuite e ipotizzate, necessitavano della sua testimonianza fino alla morte sul patibolo, mentre Galileo poteva ritrattarle, come appunto avvenne, perché, essendo le sue teorie dimostrate e sperimentate, esse stavano in piedi anche senza bisogno della testimonianza di chi le enunciava. Ma il lettore obietta che, dal momento che la scienza compie le sue sperimentazioni in laboratorio dove non intervengono tutte le variabili che caratterizzano i ondo della vita, non è il caso di porre la domanda che chiede: “C’è più verità nella testimonianza di chi ha fede o nella statistica delle probabilità della scienza?! La mia risposta è: in nessuna delle due. La fede crede perché non sa. Io non credo che due più due fa quattro perché lo so, ma credo ad esempio che Cristo è figlio di Dio perché credo nei Vangeli che lo attestano e perché credo che, leggendo quei Vangeli, intendo che il senso di ciò che è scritto corrisponde esattamente al senso che chi l’ha scritto intendeva affidare al suo testo. Vede quanti atti di fede sono richiesti per credere? Questa è la ragione per cui Tommaso d’Aquino nel De fide scrive che: “L'assenso fideistico non è determinato dalla cogitazione e non è promosso dall’evidenza del contenuto, ma da un fattore esterno, la volontà. (…) Per questo, a differenza della scienza espressa dalla ragione umana, la fede imprigiona l’intelletto trattenuto da termini estranei e non propri. Come dice Paolo la fede “riduce in schiavitù ogni intelletto, per cui l’intelletto è inquieto, anzi si sente in uno stato d’infermità e di grande timore e tremore” “. La fede quindi, come testimoniato dai testi su cui è costruita la teologa cattolica, non ha alcuna parentela con la verità. Ma neppure la scienza, sia pure per ragioni radicalmente diverse, può vantare una qualche parentela. La scienza, infatti, è un sapere oggettivante, valido per tutti, riproducibile ovunque, da chiunque con il medesimo risultato. Ma che significa “oggettivante”? Significa che la scienza non conosce la natura in sé, ma solo come appare quando è posta di fronte (questo significa ob-jectum) alle ipotesi che sono state anticipate per interpretarla, per cui la scienza non perviene a conclusioni “vere”, ma semplicemente a conclusione “esatte”, ossia ottenute (ex-actu) dalle ipotesi che sono state anticipate. Se cambiano queste ipotesi, come avviene ogni volta che assistiamo a un progresso scientifico, cambiano anche le conclusioni. Se ne deduce che la scienza non dice la verità, ma esprime unicamente un sapere ipotetico-deduttivo, ossia che dipende dalle ipotesi anticipate da cui si deducono delle conclusioni.  La verità nasce solo quando un’affermazione è in grado di negare tutte le sue negazioni. Se dico “Dio esiste” questa affermazione è un atto di fede. Diventa verità se sono in grado di invalidare tutte le possibili negazioni dell’esistenza di Dio. Impresa che mi pare abbastanza ardua. Ma anche se ci riuscissi, se in un domani, anche dopo secoli dalla mia morte, dovesse comparire un’argomentazione che nega l’esistenza di Dio torna ad essere un atto di fede. A questo allude l’espressione che definisce la verità figlia del tempo, perché nulla ne garantisce la validità eterna. Per questo Karl Jaspers apre il suo libro Della verità (Bompiani) con questa espressione: "Noi non viviamo immediatamente nell’essere, perciò la verità non è in nostro possesso definitivo. Noi viviamo nell’esserci temporale, perciò la verità è la nostra via”. Con questa risposta so di avere annoiato quanti non sono interessati a simili questioni, ma sarebbe bene, una volta tanto, che si smettesse di usare con trascuratezza e indifferenza parole come fede, scienza e verità che hanno degli statuti ben precisi che vale la pena di conoscere per evitare pensieri rozzi e pratiche discorsive confuse.
umbertogalimberti@repubit – Donna di La Repubblica – 18 agosto 2018 -

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