Il Primo Discorso del Presidente Conte al Senato non ha degnato nemmeno di una parola la
scuola italiana. Ma ciò non stupisce. Quello che distingue la democrazia dalla
populocrazia è infatti che nella prima il suffragio universale viene esercitato
da un popolo educato nel segno di un progetto pedagogico pensato, diffuso e
articolato; nella seconda, invece, di fronte alla diffusione del demo-potere,
si assiste sempre di più alla contrazione fino all’estinzione del demo-sapere.
In questo, l’esperienza dei governi del centro-sinistra è stata fallimentare;
anche i migliori hanno fallito sul piano pedagogico. Hanno importato in Italia
tutta una metodologa, una terminologia e una logica anglo-sassone che ha
dis-orientato fino allo spiaggiamento la scuola italiana. Bisognerebbe dunque
sfidare oggi i cosiddetti sovranisti a partire dalla scuola e dalla pedagogia.
Ci aspetteremmo da loro il ritorno a una scuola italiana. Così come fu pensata,
non abbiamo paura di dirlo, da Gentile ma anche da Gramsci, che non avevano
consegnato la scuola all’economia, nel cui segno parla oggi tutto il gergo
scolastico con i suoi debiti e i suoi crediti. Con l’idea mortale che dei
ragazzi debbano dissacrare il tempo che si dedica alla riflessione con il
battesimo al dio denaro nel suo rito iniziatico dell’alternanza scuola-lavoro.
Lì dove si toglie il respiro alle anime per dedicarlo a un precoce e spesso
inutile apprendistato su come si debbano soddisfare i bisogni materiali
dell’esistenza. Giuseppe Cappello info@giuseppecappello.it
Da Sempre La Scuola italiana è stata pensata più come un
settore di occupazione per insegnanti che come luogo d’istruzione ed educazione
degli alunni. Ricordo che nel 1973 ho fatto parte di una commissione di esami
abilitanti all’insegnamento, dove in pratica era necessario abilitare 217.000
insegnanti con degli esami proforma per ridurre del 50% il personale docente
precario. Queste immissioni in massa di insegnanti si sono ripetute
periodicamente, dove la qualità del docente veniva dopo la valutazione del suo
punteggio nelle graduatorie. Un punteggio determinato dalle condizioni
familiari, dal numero dei figli e da altri fattori che non c’entravano nulla
con la preparazione, l’attitudine e l’idoneità del docente. Nel 1974 il
Ministero dell’Istruzione Franco Maria Malfatti rese partecipe i genitori alla
vita della scuola. Il disastro era prevedibile, perché i genitori sono
interessati non tanto alla formazione dei loro figli, quanto alla loro
promozione che, se non arriva, si ricorre al T.A.R. Gli insegnanti, che non
vogliono passare il loro tempo nei tribunali, per evitare i ricorsi promuovono
quasi tutti, privando la scuola della sua serietà, per non parlare del
messaggio che arriva agli studenti, che lascia intendere che si può essere
promossi anche senza studiare. La qualità dei docenti non è mai stata valutata
a livello “soggettivo”, prendendo in considerazione, oltre alla competenza
verificata nei concorsi, la loro capacità di comunicare, di entrare in
relazione con gli studenti, di ascoltarli nei percorsi tortuosi e spesso drammatici
dell’adolescenza. Senza queste qualità, infatti non solo non si educa, ma
neppure si istruisce, perché lo diceva Platone e oggi gli studi in ambito
cognitivista, la mente non si apre se prima non si è aperto il cuore. Del resto
tutti noi abbiamo studiato con piacere le materie dei professori che ci avevano
affascinato, e trascurato quelle dei professori che ci spegnevano l’entusiasmo
e ci demotivavano. Oggi, se nelle scuole superiori uno studente incontra, su
nove professori che si alternano sulla cattedra, uno o due maestri, può dirsi
fortunato Da ultimo, come lei opportunamente segnala, nella nostra scuola è
stata introdotta una metodologia anglo sassone che trascura del tutto la “soggettività”
dello studente, per valutare unicamente le sue prestazioni oggettive. Prendendo
in considerazioni esclusivamente le competenze acquisite dagli studenti, si è
così rinunciato alla loro formazione, come invece era nella tradizione della
nostra scuola a partire, come lei ricorda, dalla riforma Gentile che,
nonostante avesse aderito al fascismo, era un Ministro dell’Istruzione di
grande cultura e intelligenza, come mai più ne abbiamo avuti in quel Ministero.
A questo punto c’è da meravigliarsi se il capo dell’attuale governo, nonostante
sia un professore universitario, non abbia detto finora una sola parola a
proposito dell’istruzione e più in generale della cultura? E se l’OCSE dice che
gli italiani sono oggi all’ultimo posto i Europa per la comprensione di un
testo scritto, possiamo davvero credere, a partire da queste premesse, di poter
risalire la classifica?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 14 luglio 2018 -
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